venerdì 25 marzo 2016

Tutto o niente

Questo post è un commento di risposta ad un post di "IBSE e dintorni" in cui l'autrice lamenta la carenza di passione per l'esperimento di Eratostene della circonferenza terrestre.
Ciò che mi interessa realmente è riflettere sul nostro atteggiamento di fronte alla carenza di passione per la conoscenza. L'atteggiamento in classe e quello generale, come questi due interagiscono a nostro sfavore. Come possiamo opporre resistenza.
Per ora stenderei un velo pietoso sulla carenza di passione degli insegnanti di materie scientifiche (quante volte si sente parlare con passione di una conoscenza o scoperta scientifica in sala professori? mai!!! Se registrassi le più animate conversazioni, qualche ascoltatore le attriburirebbe probabilmente ad una parrucchieria).

Ecco il mio commento-riflessione

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In generale capisco il tuo turbamento sul fatto che la conoscenza non fa audience e non fa curiosità. Ma qual è il nostro atteggiamento migliore come "mediatori della conoscenza scientifica"? Per me valgono tre regole fondamentali.

La prima regola è quella del realismo: non bisogna mai confondere l'entusiasmo e la comprensione dell'insegnante con quelle degli alunni. In altre parole non dobbiamo suonarcela e cantarcela da soli né dobbiamo illuderci che spiegazione significhi condivisione di significati, che interessamento di uno significhi comprensione di tutti. Tutto ciò è costantemente smentito nel 99% delle lezioni nella nostra scuola. Ciò che facciamo deve esigere un coinvolgimento attivo da noi strutturato, volente o nolente, da parte di tutti, e pertanto la nostra stessa presenza e "pretesa" devono necessariamente rappresentare un problema per l'alunno; un ostacolo non superabile se non giocando al gioco che decidiamo noi e con le regole volute da noi.

La seconda regola è di rendere preziosa la conoscenza. Occorre entrare in classe mostrando di essere entusiasti di qualcosa, senza pretendere o voler implicare che ciò si trasmetta, anzi facendo desiderare la cosa rinviando eventuali dettagli a dopo la lezione programmata "se ci saranno il tempo e la richiesta". E' la legge del mercato: si fa aumentare il prezzo per far crescere la domanda e viceversa. Meglio non vendere nulla che svendersi. E' l'unico modo di rendere chiaro a chi non possiede, in massima parte, gli strumenti concettuali per farlo, che la conoscenza è una seria questione di scelta, di un tipo ben diverso dall'assistere come spettatore distratto ad uno "spettacolo". Quello che invece vedo costantemente sono sedicenti esperti di didattica e motivazione che si entusiasmano, fanno il loro spettacolo senza richiedere nulla di intellettualmente demanding, fanno i loro esempi trasgressivi che catturano l'attenzione di qualche leader per qualche istante, quindi se ne vanno lasciando la classe al povero docente, costretto a spiegare al 75% di distratti, dare compiti a casa a degli inadempienti, fare interrogazioni e verifiche al traino dei voti. Ed inviando un messaggio immaginario al motivatore: un "ti piace vincere facile? ma vieni a fare un programma qui in classe tutti i giorni, e insieme in altre 5 classi!"

La terza regola è della massima disponibilità con chi sale sul carro della conoscenza: occorre mostrarsi ed essere realmente curiosi delle istanze portate in classe dai ragazzi, anche quando essi pensano che si tratti di una cosa insignificante, si può mostrare che invece la cosa ha risvolti seri e rilevanti e soprattutto che è "conoscibile". Ma se è importante, complessa, implicante approfondimento o ricerca passa la voglia? Non è un nostro problema. Sviluppando queste istanze in modo sistematico e organizzato, anche in alternativa alla lezione programmata, si ottengono discreti risultati di apprendimento nonostante "non ci siano né programma né voto". Facendolo ci si accorge che per la maggior parte se non la totalità degli studenti, nella lezione successiva si saranno già completamente dimenticati della cosa, quando l'insegnante gliela ri-sfornerà arricchita e condita. Ma noi saremo lì a perseverare, dare l'esempio, essere imitabili. Non devono esserci alternative, possibilità di "corruzione" di quel professore che nella percezione dei ragazzi sembra essere "così distante da noi". La barriera e l'asimmetria ci sono, non possiamo fare finta di niente, attenuarle con sotterfugi. Sarà allora chiaro che i tre comportamenti dell'insegnante sono solo apparentemente contraddittori, che essi contengono un messaggio del tipo tutto o niente, di responsabilità, messaggio che con le sole parole non potrebbe mai arrivare a destinazione.

Queste sono la serietà e la coerenza che devono ripetutamente impattare su studenti abituati alla attenzione volontaria della durata massima di uno spot, alla deontologia dell'indifferenza e del resettaggio in tutti i tipi di società di cui fanno parte e che vedono al di fuori della scuola. La scuola non è e non deve essere uguale alla vita "normale": uno zapping continuo. L'insegnante non è e non deve essere un intrattenitore, un amico, o il chiacchierone psicologo comprensivo per il quale la lezione normale o quella alternativa sono sempre meno importanti di qualunque brufolo o impulso emotivo del giorno (è come buttare benzina sul fuoco con gli adolescenti), non un oratore entusiasta che non si rende nemmeno conto di cosa succede sotto i banchi o dietro gli zaini-paravento-poggiatesta, ma uno che fa lavorare usando il cervello e non dà tregua. Un negriero! Solo dall'interesse forzato potrà nascere domani quello autentico. Prima, infatti, bisogna sviluppare in qualche modo, per amore o per forza, funzioni cognitive diverse da quelle spontanee. Perché l'unica barriera concreta, ineliminabile, da superare, è quella delle funzioni del pensiero. La motivazione, non dà un pensiero con i concetti.

Queste sono le misure da adottare per lottare contro la situazione generale, che induce all'irresponsabilità e ostacola la nascita di ogni vocazione per il conoscere. Gli studenti non sono "se stessi allo stato puro". Sono condizionati dalla società virtuale ed effimera in cui sono immersi, in cui si possono fare molti soldi anche senza conoscenza, e in cui per avere più potere è senza dubbio meglio avere scarso amore per la conoscenza. Basta vedere quanta considerazione ha avuto la recente conferma delle onde gravitazionali. Zero impatto mediatico nonostante le numerose implicazioni e, tutto sommato, la facilità dell'esperimento (almeno in termini concettuali). I genitori si saranno chiesti "sì, ma a che serve?", i loro figli, i nostri studenti, nemmeno quello. 
Ecco perché a scuola non ci deve essere tentativo di seduzione, non ci deve essere compromesso né soluzione di continuità: o si sta sul carro della conoscenza o si sta fuori. Mi pare che don Milani fosse più che mai sincero e netto su questi aspetti della motivazione costruita dal discente come conseguente allo sviluppo e al sapere e non causa.

Ma potrebbe essere già tardi, perché i ragazzi di oggi cominciano a "fiutare" che per vivere bene (e non solo in senso materiale, ma anche per quanto riguarda il rispetto e la considerazione sociale) coltivare la conoscenza non basta. Sono lontani i tempi in cui da studenti vedevamo il docente come un imperscrutabile e inarrivabile figuro che formava un tutt'uno con il sapere e con la sua materia, un alieno che non aveva bisogno di altro. Oggi, come insegnanti, non siamo più credibili "di default". Figuriamoci poi se ci mettiamo a fare i sorrisetti, il buon viso a cattivo gioco, o gli animatori del villaggio turistico. »

Alfredo Tifi

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