giovedì 12 giugno 2014

Tanto per non perdere il vizio...

Caro blog... ti ho abbandonato da parecchio, ma ora devo trovare il tempo per parlarti di questa congiunzione astrale di eventi.

Ieri, mentre con i ragazzi del quinto CH simulavamo possibili domande stimolo e risposte sugli acidi nucleici, in preparazione all'esame, è venuto fuori, non senza imbarazzo da parte mia, che nessuno, me compreso, sapeva se il doppio filamento del DNA è unico oppure no, anche laddove ci sono 46 cromosomi, cioè "grovigli" o "matasse", "superavvolgimenti" di DNA, numerati e distinti dalle forme caratteristiche, a X, a Y, ecc... In altre parole, ci sono 23 coppie di molecole separate di DNA oppure una sola, comprendente porzioni di collegamento tra un cromosoma e l'altro, invisibili al microscopio? Se così fosse, il DNA sarebbe come una collana di cromosomi, ma non mi risulta di aver mai visto una rappresentazione di questo genere. I cromosomi, sempre considerati come entità separate, si formano dalla cromatina, rendendosi visibili solo durante la riproduzione cellulare, poi si "segregano", si aprono, si duplicano, si riavvolgono separati in due antipodi e infine in due nuclei distinti ecc. Tutto ciò sembra essere più compatibile con una visione a cromosomi separati che non tutti legati in una "singola collana".

Mentre pensavo tutto questo, mentre constatavo che per i ragazzi il DNA e i cromosomi abitavano su isole lontane del Pacifico e che, come sempre, nessun problema di connessione era anche solo lontanamente ravvisato, mi rendevo conto all'istante che questo tassello della conoscenza non ce l'avevo. Era importante, eppure non ce l'avevo. E non ce l'avevo perché da nessuna parte, tra i tanti testi che nel tempo mi è capitato di leggere, questa informazione era scritta in modo esplicito, o almeno con un enfasi tale da parlare non solo di come le cose della realtà stanno, ma anche di come potrebbero stare, ma non lo fanno (e magari anche dire perché non lo fanno).

Il problema è sempre lo stesso: i libri sono scritti da scienziati che hanno il focus dell'attenzione su questioni ben più complicate, e può capitare che ne dimentichino alcune che essi conoscono da sempre, senza esserne mai stati veramente consapevoli; oppure sono scritti da insegnanti che assemblano tutte le informazioni, le "conclusioni" del sapere più importanti, con il criterio del canone dei contenuti tradizionali, in cui la connessione tra grandi blocchi, o tra "superavvolgimenti della conoscenza", ha scarsa rilevanza. L'importante è che il docente che adotta quel libro trovi "le cose che gli alunni devono sapere", all'esame di stato o ai test di ammissione dell'università.

Se potessi veramente scegliere io, almeno con i più grandi, adotterei sempre i testi del primo tipo e fonti originali, perché la probabilità che una risposta ad una domanda sia trovabile leggendo nel dettaglio e tra le righe, quando non esplicitamente fornita, è consistente. In un testo dell'altro tipo il "tessuto" è ben diverso. È la riproduzione carnevalizia della tuta protettiva del motociclista famoso, dove tutti i logo degli sponsor sono perfettamente riportati, ma dove andando a vedere la trama, per tentare di capire la robustezza e la coerenza dell'insieme, non si riesce di trovare proprio nulla di più fine.

Ma, mi si dice, non si possono adottare o usare simili testi! Perché in questi manuali: "ci sono troppe cose che non si devono fare e altre che invece 'mancano' e potrebbero essere richieste, e poi perché un testo dove occorra studiare sistematicamente e 'ritrovarsi' è fondamentale, mentre l'informazione 'distribuita' crea caoticità e disorientamento. E sopratutto perché questi testi sono troppo difficili!"

Ma difficili per chi? e cosa succede invece con quelli "facili"?

Si sta nascondendo sotto il tappeto il vero problema, cioè l'alfabetizzazione, che va di pari passo con lo sviluppo delle capacità di pensiero e che dovrebbe essere l'occupazione principale della scuola nell'età di transizione.

Chissà perché, chi fa affermazioni di questo tipo, sistematicamente imposta la lezione sul suo sapere, sul suo canone, sempre lo stesso dal primo all'ultimo anno di insegnamento, di solito lo stesso ricevuto nella sua formazione, sostanzialmente ignorando il contenuto dei libri. Anche perché deve essersi reso conto, da esperimenti di lettura in classe, che i ragazzi non comprendono tramite la lettura, nella lettura, mentre sembrano capire meglio il parlato, un linguaggio più ricco di intonazione ed espressione, meglio se semidialettale, che lo rende più facilmente recepibile e significativo. Perciò parlano, fanno lezioni frontali magistrali, si ritengono sufficientemente ricompensati dal fatto che i ragazzi riescono a ripetere brandelli di quella conoscenza fuori da ogni contesto, dal fatto che essi ripetono alcune delle loro stesse parole e da ciò, estrapolando indebitamente, deducono l'esistenza di una qualche comprensione concettuale.

Il tutto conquistato senza passare attraverso la scrittura, l'uso di segni, così difficile per quei "poveri ragazzi", con i loro zaini-poggiatesta, a proteggere i libri dall'apertura, durante le lezioni magistrali.

Quei poveri... semianalfabeti che - adesso, maggiorenni e appoggiati dagli stessi colleghi - pretendono (forse giustamente, a questo punto) che anche l'esame richieda loro di ripetere brandelli di conoscenza, e non di costruire un pensiero, di argomentare. Ragazzi per i quali, forse per il semplice fatto di esseri iscritti ad un istituto tecnico, è stato decretato tre o quattro anni prima che le loro facoltà mentali, sviluppate fino allo stadio preadolescenziale, potevano andare bene per affrontare con successo le fatiche dello studio, ed arrivare così immodificate fino all'età adulta.

Ma, tra tutte queste riflessioni che costituiscono il mio sfondo continuo, l'unica veramente emergente dal problema dei cromosomi, era solo di utilizzare l'occasione per insegnare, ancora adesso, dopo la fine dell'anno scolastico e dopo aver fallito in tre anni di inutili tentativi, ciò che veramente conta più di ogni altra cosa: insegnare la dedizione e l'umiltà per la conoscenza. E anche che il sapere è una cosa che ci si può costruire solo ponendosi domande, e non aspettandosi che ci sia qualcuno che ti riempie la testa delle "cose che dobbiamo sapere"... perciò ho ammesso il mio "non sapere", ed ho iniziato a cercare informazioni alle voci DNA e Cromosoma di Wikipedia. Dove ho trovato sempre riferimenti al singolare per "la" molecola del DNA e al plurale per "i" cromosomi delle cellule eucariote. Tutti ciò, insieme a un riferimento all'ordinamento dei cromosomi, sembrava suggerire una struttura a "collana", che in seguito ho smentito leggendo a casa, dal Lehninger (uno di quei testi scritti, almeno alle origini, da scienziati) che "ogni cromosoma contiene una sola, grande molecola di DNA a doppia catena". Nel frattempo ho lasciato i ragazzi con il dubbio e l'impegno ad approfondire, perché dalle pagine di Wikipedia e ancor meno dal loro testo, non potevano desumersi che degli "indizi", ma nessuna certezza.

Dopo di che, a casa, ho ripreso la lettura del libro "La scuola non serve a niente", di Bajani, trovando tra altre cose interessanti, questa lettera a La Repubblica di Massimo Recalcati, del 20/9/2013, e di cui riporto lo stralcio che maggiormente condivido:

"Agatone, l'allievo, si siede vicino al maestro coltivando l'illusione che il suo cervello sia un contenitore dentro il quale Socrate dovrebbe versare il liquido del suo divino sapere. È l'illusione che abita ogni scolastica dell'apprendimento. Essere un recipiente passivo che il sapere del maestro può riempire sino all'orlo. Ma Socrate si nega ad Agatone. Non accontenta la sua aspirazione ad essere "riempito". Negandosi alla domanda ingenua di Agatone - "travasa in me il tuo sapere" - Socrate cerca di mettere in movimento il suo allievo (transfert significa "trasporto", "sentirsi trasportati") distogliendolo dall'illusione che conoscere significa riempirsi passivamente il cervello di nozioni già esistenti e possedute da qualcuno. Il gesto di Socrate è controcorrente rispetto ad ogni idea scolastica del sapere ed è il motore di ogni forma di apprendimento autentico. Svuota il maestro di sapere affinché l'allievo si metta in movimento - si senta trasportato - verso il sapere, affinché nasca nell'allievo un desiderio autentico di sapere. Il gesto di Socrate è innanzitutto un gesto di sottrazione; anch'io non so quello che tu non sai, non perché sono ignorante, ma perché so che è impossibile possedere tutto il sapere, perché il sapere stesso non può mai costituire un tutto. Il compito di un insegnante è quello di generare amore, transfert erotico, sul sapere più che distribuire sapere (illusione cognitivista) o mettere tra parentesi il sapere occupandosi della vita privata degli allievi (illusione psicologista) perché l'alternativa tra la vita e il sapere è sempre sterile".

A quanto detto da Recalcati posso solo aggiungere che, "sottraendomi" costantemente, allo stesso modo, quando va bene si genera nello studente la curiosità per il mio approccio al sapere, ma mai la curiosità per il sapere in sé e, men che meno, per gli oggetti reali di cui il sapere stesso cerca di parlare, se questi oggetti non rientrano nell'esperienza quotidiana.

E purtroppo so anche il perché: agli adolescenti e pre-adolescenti interessano per istinto i comportamenti e le parole delle persone adulte, da seguire e mitizzare o da esecrare e vilipendere, senza vie di mezzo. Interessano le passioni ideali, magiche, trascendenti, e i relativi concetti, specie se questi facilitano l'aggregazione, l'identificazione nei loro gruppi sociali. È la natura evolutiva della specie umana che li ha dotati dell'istinto di saper individuare a chi conviene loro sottomettersi, perché dotato di maggior forza bruta e potere (che attenuiamo col termine "carisma", ma non coincide affatto con saggezza, professionalità, esperienza e intelligenza). Infatti i concetti degli adolescenti, più spesso pseudoconcetti, hanno funzioni simili o identiche a quelli adulti-scientifici, ma non sono usati allo stesso modo, nel ragionare: per migliorare i significati, per raggiungere una maggiore oggettività, per creare nuove connessioni nel sistema della conoscenza, per risolvere problemi. Sono utilizzati essenzialmente per entrare in una relazione sociale e comunicativa. Le questioni interpersonali e di amalgama nei gruppi sono infinitamente più importanti, e le prime da risolvere, per il corretto funzionamento delle società primitive, piuttosto che l'imparare a risolvere da soli problemi di natura scientifica o pratica, quando, nella stessa società, ci sono altri che insegneranno come risolvere. È questa la nostra eredità, che pure evolverà, ma non così, dall'oggi al domani. Perciò si ha sempre l'impressione che quando uno studente utilizza un concetto ne ha un'idea astratta, vaga, "campata per aria". In realtà i concetti gli servono solo per acquisire il linguaggio, per essere più partecipe e asservito all'adulto che a parer suo lo merita e per imparare a esercitare un potere basato sulla parola, o adeguarsi a chi lo ha assunto: ai mini-leader all'interno del suo branco, che si stanno esercitando, senza saperlo, a diventare i leader veri della società adulta, ancora simile per molti versi a quelle primitive.

Occuparsi della natura in sé del mitocondrio, o di un qualunque altro infimo frammento di materia nuda e cruda, in quanto tale, questa passione aberrante tipica dello scienziato (infatti notoriamente "asociale" e fuori dal mondo), è per loro insulso e insignificante, specialmente se il possesso della conoscenza non garantisce alcun privilegio perché non è più esclusivo dei pochi allievi di Socrate, ma alla portata anche dell'ultimo degli schiavi che vi si cimenti con passione e dedizione sufficienti. Per l'adolescente di oggi, il prof. socratico non ha mai abbastanza carisma, proprio perché non è lì per proteggere i quasi-adulti delle classi privilegiate, che hanno giustamente paura del mondo e dell'assenza di garanzie ed automatismi derivanti dal "titolo di studio", per difenderli dalla maledetta democrazia o meritocrazia e dagli schiavi che, non avendo nulla, si impegnano maggiormente e reclamano, giustamente, privilegi equivalenti. Gli adolescenti, sono evolutivamente, geneticamente e neurologicamente predisposti per cercare questo genere di protezione e garanzie in ben altri adulti di riferimento, che ai loro occhi sembrano più capaci di garantire la comoda - almeno intellettualmente parlando - posizione sdraiata, richiedendo pure meno sforzo. Le masse giovanili eterogenee, di oggi, non cercano dei Socrate che insegnino loro a ragionare sottraendosi, ma condottieri in cerca di adepti, che li seguano assumendosi le responsabilità al loro posto. La relazione Socrate-Agatone è più simile ad una relazione tra adulti-pari, caratterizzata solo da asimmetrie culturali di tipo quantitativo. Quella tra insegnante di successo e adolescenti è più simile ad una relazione generazionale, padre-figlio.

Se questa percezione della relazione è comprensibile, "naturale" dal lato studente, ci si aspetterebbe però che dal lato docente, pur sfruttando entro limiti fisiologici i vantaggi della "illusione paternalistica unilaterale", vi sia almeno una tendenza a ristabilire un dialogo pedagogico modificante, decentrato da sé, e centrato sulla capacità oggettivante e creatrice di significati del linguaggio, non sulla recitazione di formule vuote, sull'applicazione di formule cieche, utili solo a trasmettere un'idea di potere astratto della conoscenza che, per fortuna, non esiste più. Altrimenti i ragazzi non "cresceranno" mai.

E qui comincia la politica degenere della destra, qualcosa che, peggio della scuola, e anche tramite la scuola, è da sempre dedita a conservare le schematizzazioni delle società primitive e trarre vantaggi dalla legge del più forte, anziché cercare di migliorare la nostra civiltà.
Quella che sfrutta il fatto che tutta la società è, in realtà, arenata sullo stadio adolescenziale e preferisce affidarsi ai condottieri. Ecco che il personalismo politico non è più unilaterale, non è più "illusione" di paternalismo, ma mania di grandezza e di persecuzione reali, arroganza..., e da qui cominciano tutti i guai, cominciano a spuntare i "popolani" che litigano con i "populisti", ridimensionando e riducendo tutta la conquista democratica e civile al famoso detto "quando ci sono troppi galli a cantare non si fa mai giorno", sono votati i condottieri del momento, che costituiscono gradualmente la loro follia e la follia collettiva...