giovedì 30 giugno 2016

Legge di Ohm, un tipico bluff dell'insegnamento restitutivo



Il video (non incriminato, ma preso a campione per discutere) è un classico esempio di come sia uso comune dare importanza alle cose sbagliate nella scuola restitutiva. E anche di come le tecnologie siano per cambiare tutto senza cambiare nulla di ciò che va cambiato.

Non facendo esperimenti e misurazioni reali, il video dà o conferma l'idea comune di legge come dipendenza matematica esatta, e non la si chiama neppure "linearità", dipendenza o "andamento lineare". Per forza: l'obiettivo non è imparare a descrivere e comprendere il mondo, incuriosirsi dei suoi aspetti peculiari o anche semplici, e perciò belli, ma fare bene esercizi, quindi avere buoni voti imparando lo stretto necessario allo scopo.

Non si considera la tipologia di conduttore e si parla di "pezzo di materiale" quando nella realtà conduttori di materiali diversi potrebbero comportarsi in modi molto diversi tra loro.

Le alterazioni di temperatura e la dipendenza dalla temperatura della resistenza sono fattori (e fatti) fondamentali e non sono minimamente trattati. Essi spiegano parte della non linearità pratica della legge. In fondo si tratta di una legge che riguarda una classe di fenomeni dissipativi. Non di una formuletta matematica atta a risolvere una categoria di esercizietti.

Invece di insegnare a passare da una rappresentazione all'altra della stessa legge utilizzando i significati (ragionando) si insegna il "triangoletto", ossia ci si garantisce che l'applicazione in esercizi numerici fornisca con certezza risultati esatti anche in condizioni di stress da verifica sommativa (nelle quali l'efficienza non ammette riflessioni), laddove sarebbe facilissimo pensare dei quesiti qualitativi capaci di mostrare la non padronanza concettuale degli alunni (e persino degli insegnanti) anche in presenza di risultati corretti e in assenza di qualunque stress. Oltre tutto si vanifica quanto detto sul ruolo completamente asimmetrico di variabile indipendente (V), dipendente (I) e costante (R), diventando tutte e tre potenziali "incognite" in esercizi. Il risultato è che dopo qualche anno o forse un solo mese i ragazzi non ricorderebbero più se il triangolo avesse il vertice in alto o in basso e quale delle tre variabili V, R o I fosse da sola, sopra o sotto, nello stesso triangolo. Non saprebbero affrontare una questione minimamente problematica e non basata sulla pura memoria di V = R·I sull'argomento. Non saprebbero mai, senza una essenziale problematizzazione di carattere metrologico, perché la legge viene espressa come V = R·I e non, ad esempio, come I = V/R. Soprattutto avranno perso un'occasione importante per imparare a ragionare e a connettere evidenze sperimentali e modellizzazioni della realtà.

Non si chiarisce la connessione importante con le grandezze energetiche (energia e potenza).

Del rame non si coglie l'occasione per mostrare che il materiale è quello a resistività più bassa tra quelli della tabella o per dire semplicemente che quel filo è molto lungo per avere una resistenza, nonostante ciò, estremamente piccola. Sappiamo bene che per i ragazzi 350 metri o 35000 metri sono solo numeri privi di senso come altri. Se non lo diciamo noi che sono tre campi di calcio, loro restano nel mondo astratto e arbitrario della scuola, dei suoi esercizi finalizzati al voto.

Non si giustifica in alcun modo la dipendenza inversa dalla sezione, fornendo oltretutto misure già calcolate in millimetri quadrati, quando chiunque vada a comprare dei fili di rame sa benissimo che dovrebbe chiedere misure del diametro.

Le motivazioni per far tutto ciò le conosco bene: occorre presentare la lezioncina in forma pre-semplificata per andare direttamente all'applicazione "pratica", ma non pratica nel senso della realtà vera! Piuttosto, nella realtà virtuale che è quella funzionale a svolgere due tipologie di esercizi i quali a loro volta trovano giustificazione in base al fatto che si prestano a somministrare verifiche sommative, con singola risposta giusta, che autorizzeranno insegnante e alunno a illudersi di aver capito tutto sull'argomento.

Mentre Bruner ci ha lasciato ben altri criteri per stabilire cosa è possibile e bene insegnare ad ogni età.

sabato 18 giugno 2016




tocca tutta la mia esperienza di insegnamento ed ha ispirato queste mie riflessioni.


Non è la lezione frontale che va evitata, ma l'idea della lezione versativa, che considera l'esposizione sufficiente a mettere in condizione l'alunno di "riversare" o "restituire" quanto "insegnato". La lezione frontale trasmette entusiasmo e senso, se fatta con arte e soprattutto solida esperienza come ben descritto da Roberto Contu. Ma credo, e ne sono sicuro per le materie scientifiche che insegno, che questo sia solo l'inizio della comprensione. Quando ciò che c'è da capire non sono concetti rapportabili alla condizione umana e all'esperienza quotidiana, o facilmente traslabili nel tempo e nello spazio rispetto a questa, ma concetti astratti, è strettamente necessario un lavoro addizionale che coinvolga direttamente il singolo alunno in modo attivo e non passivo, lo stimoli a parlare e interagire con gli altri modificando così le proprie rappresentazioni. Quando alla fine di questo lavoro l'alunno riesce veramente a capire di cosa sta parlando, il risultato è simile a quello ottenuto dall'insegnamento frontale, ma il risultato non è affatto ottenibile con la semplice narrazione, per quanto sintetica e appassionata essa sia.

Ciò a cui assisto, purtroppo, è che l'insegnante dica: "io te l'ho spiegato, tu lo dovevi studiare (e aggiunge, per pararsi il culo, che stava da pagina x a pagina y del libro) quindi adesso lo dovevi sapere". Quelli che studiano, dunque, diventano quelli che "ripetono", l'istanza della comprensione diventa quanto mai indesiderata e non le è permesso di guastare la festa della didattica restitutiva.

Ciò a cui assisto, purtroppo, è che l'insegnante dica: "io te l'ho spiegato, tu lo dovevi studiare (e aggiunge, per pararsi il culo, che stava da pagina x a pagina y del libro) quindi adesso lo dovevi sapere". Quelli che studiano, dunque, diventano quelli che "ripetono", l'istanza della comprensione diventa quanto mai indesiderata e non le è permesso di guastare la festa della didattica restitutiva.

Contu è troppo ottimista. Ho conosciuto insegnanti di Italiano considerati bravi e i cui alunni, miei alunni, superavano con successo gli esami; ma essi insegnavano solo gli stereotipi, occorreva CONOSCERE tutti e bene quegli stereotipi bignamici, per cui essi venivano richiesti, fatti recitare, continuamente. Vi assicuro che recitare sequenze di stereotipi non fa avanzare di un millimetro la consapevolezza, neanche di studenti diciottenni già maturi. Ho anche conosciuto insegnanti di Italiano come Contu, che appassionavano, pur essendo giovani e alle prime armi, quindi con una passione che derivava dai propri studi e non dall'esperienza d'insegnamento e forse i propri allievi non hanno fatto l'exploit all'esame, ma ne conosco almeno due che da periti chimici nella vita sono diventati collega di Italiano e filosofo. Qual è stato allora l'insegnante migliore? Il primo lo è solo nella logica autoreferenziale - che personalmente non posso soffrire - interna alla scuola, quella che va ad autolimitare, in realtà, la libertà di insegnamento e apprendimento.
È troppo ottimista anche quando afferma che "L’insegnante è per definizione un soggetto che accetta di passare la vita a studiare ininterrottamente e in modo forsennato..." e più avanti: "nonché sanare i propri buchi formativi". Nel mio settore di insegnamento questi casi sono l'eccezione rara. Se mai qualcuno dei miei colleghi legge un libro a soggetto disciplinare lo fa per proprio diletto personale, lungi da loro l'idea e il desiderio di adattare e trasmettere quel piacere nella lezione, adattandola. Se anche lo ritenessero possibile, ma non lo credono perché per loro gli studenti sono degli stupidi vasi vuoti da riempire, la logica restitutiva, la loro lezione versativa, hanno raggiunto uno standard di perfezione tale, e il programma fila come olio, che sarebbe follia cambiare.
Anche quando Contu afferma che "è esperienza di ogni docente quella di conoscere e accrescere le proprie carte vincenti e i propri argomenti a prova di classe", ciò acquista nella logica restitutiva un significato pernicioso: la pratica ed esperienza conseguita sono in effetti tale e tanta che l'insegnante "restitutivo" riesce perfino ad affascinare; i suoi ragazzi sono contenti perché riescono a rifare, ripetere, restituire tutto alla perfezione... quello sì che è un bravo docente... ma col piccolo problema che nessuno dei tanti in quella classe sa il senso di ciò che sta facendo: i concetti più sovraordinati, le rappresentazioni, sono completamente errate, basta una piccola e insulsa domanda proveniente da fuori il mondo chiuso della sua classe che questa come un'onda distrugge tutto il castello di sabbia. E a quel punto il cattivo della situazione è quello che vive la disciplina, la sua oggettività e il mondo reale, non il prof.
La sintesi è una gran bella cosa. Avrei potuto dire apoditticamente: "è impossibile eliminare la componente costruttiva dall'apprendimento, quindi nel buon insegnamento occorre una dose di lezione frontale, possibilmente il meno passiva e più interattiva possibile, e una componente di lezione con un ruolo attivo appositamente progettato per lo studente". Però DOVEVO sottolineare che la questione non è tecnica, ma psicologica. Quindi non condivido la conclusione di Contu, che quasi assolutizza il valore della conoscenza in sé, portando a sottovalutare proprio le tecniche necessarie a entrare 'anche' nella logica costruttivista. Ma queste tecniche devono essere psicologicamente informate, mentre troppo spesso sono solo tecnologicamente "mercificate". Per tornare dunque al topic del gesso vs tecnologia, la mia opinione è che di ogni alternativa al gesso occorra 1. imparare a sfruttare i vantaggi fino all'ultimo, penso alla scrittura collaborativa con Google docs o a CmapTools che si autorinnovano e che uso da 14 anni, senza mai confondere l'uso del mezzo e gli artefatti prodotti con l'effettivo risultato pedagogico e 2. abbandonare se i vantaggi reali non ci sono e non solo per il gusto di entusiasmarsi nuovamente su un'altra ultima moda appena arrivata, come mi pare essere l'atteggiamento più diffuso tra i "geek" tecnologici e oggi tra gli oscuri ministeriali (vedi pensiero computazionale imposto all'improvviso alla scuola dopo aver largamente dimenticato tutte le esperienze positive pregresse della primaria e media e anche i docenti esperti che vi erano).

Restitutivo vs costruttivista; gesso vs tecnologia




tocca tutta la mia esperienza di insegnamento ed ha ispirato queste mie riflessioni.


Non è la lezione frontale che va evitata, ma l'idea della lezione versativa, che considera l'esposizione sufficiente a mettere in condizione l'alunno di "riversare" o "restituire" quanto "insegnato". La lezione frontale trasmette entusiasmo e senso, se fatta con arte e soprattutto solida esperienza come ben descritto da Roberto Contu. Ma credo, e ne sono sicuro per le materie scientifiche che insegno, che questo sia solo l'inizio della comprensione. Quando ciò che c'è da capire non sono concetti rapportabili alla condizione umana e all'esperienza quotidiana, o facilmente traslabili nel tempo e nello spazio rispetto a questa, ma concetti astratti, è strettamente necessario un lavoro addizionale che coinvolga direttamente il singolo alunno in modo attivo e non passivo, lo stimoli a parlare e interagire con gli altri modificando così le proprie rappresentazioni. Quando alla fine di questo lavoro l'alunno riesce veramente a capire di cosa sta parlando, il risultato è simile a quello ottenuto dall'insegnamento frontale, ma il risultato non è affatto ottenibile con la semplice narrazione, per quanto sintetica e appassionata essa sia.

Ciò a cui assisto, purtroppo, è che l'insegnante dica: "io te l'ho spiegato, tu lo dovevi studiare (e aggiunge, per pararsi il culo, che stava da pagina x a pagina y del libro) quindi adesso lo dovevi sapere". Quelli che studiano, dunque, diventano quelli che "ripetono", l'istanza della comprensione diventa quanto mai indesiderata e non le è permesso di guastare la festa della didattica restitutiva.


Ciò a cui assisto, purtroppo, è che l'insegnante dica: "io te l'ho spiegato, tu lo dovevi studiare (e aggiunge, per pararsi il culo, che stava da pagina x a pagina y del libro) quindi adesso lo dovevi sapere". Quelli che studiano, dunque, diventano quelli che "ripetono", l'istanza della comprensione diventa quanto mai indesiderata e non le è permesso di guastare la festa della didattica restitutiva.

Contu è troppo ottimista. Ho conosciuto insegnanti di Italiano considerati bravi e i cui alunni, miei alunni, superavano con successo gli esami; ma essi insegnavano solo gli stereotipi, occorreva CONOSCERE tutti e bene quegli stereotipi bignamici, per cui essi venivano richiesti, fatti recitare, continuamente. Vi assicuro che recitare sequenze di stereotipi non fa avanzare di un millimetro la consapevolezza, neanche di studenti diciottenni già maturi. Ho anche conosciuto insegnanti di Italiano come Contu, che appassionavano, pur essendo giovani e alle prime armi, quindi con una passione che derivava dai propri studi e non dall'esperienza d'insegnamento e forse i propri allievi non hanno fatto l'exploit all'esame, ma ne conosco almeno due che da periti chimici nella vita sono diventati collega di Italiano e filosofo. Qual è stato allora l'insegnante migliore? Il primo lo è solo nella logica autoreferenziale - che personalmente non posso soffrire - interna alla scuola, quella che va ad autolimitare, in realtà, la libertà di insegnamento e apprendimento.
È troppo ottimista anche quando afferma che "L’insegnante è per definizione un soggetto che accetta di passare la vita a studiare ininterrottamente e in modo forsennato..." e più avanti: "nonché sanare i propri buchi formativi". Nel mio settore di insegnamento questi casi sono l'eccezione rara. Se mai qualcuno dei miei colleghi legge un libro a soggetto disciplinare lo fa per proprio diletto personale, lungi da loro l'idea e il desiderio di adattare e trasmettere quel piacere nella lezione, adattandola. Se anche lo ritenessero possibile, ma non lo credono perché per loro gli studenti sono degli stupidi vasi vuoti da riempire, la logica restitutiva, la loro lezione versativa, hanno raggiunto uno standard di perfezione tale, e il programma fila come olio, che sarebbe follia cambiare.
Anche quando Contu afferma che "è esperienza di ogni docente quella di conoscere e accrescere le proprie carte vincenti e i propri argomenti a prova di classe", ciò acquista nella logica restitutiva un significato pernicioso: la pratica ed esperienza conseguita sono in effetti tale e tanta che l'insegnante "restitutivo" riesce perfino ad affascinare; i suoi ragazzi sono contenti perché riescono a rifare, ripetere, restituire tutto alla perfezione... quello sì che è un bravo docente... ma col piccolo problema che nessuno dei tanti in quella classe sa il senso di ciò che sta facendo: i concetti più sovraordinati, le rappresentazioni, sono completamente errate, basta una piccola e insulsa domanda proveniente da fuori il mondo chiuso della sua classe che questa come un'onda distrugge tutto il castello di sabbia. E a quel punto il cattivo della situazione è quello che vive la disciplina, la sua oggettività e il mondo reale, non il prof.
La sintesi è una gran bella cosa. Avrei potuto dire apoditticamente: "è impossibile eliminare la componente costruttiva dall'apprendimento, quindi nel buon insegnamento occorre una dose di lezione frontale, possibilmente il meno passiva e più interattiva possibile, e una componente di lezione con un ruolo attivo appositamente progettato per lo studente". Però DOVEVO sottolineare che la questione non è tecnica, ma psicologica. Quindi non condivido la conclusione di Contu, che quasi assolutizza il valore della conoscenza in sé, portando a sottovalutare proprio le tecniche necessarie a entrare 'anche' nella logica costruttivista. Ma queste tecniche devono essere psicologicamente informate, mentre troppo spesso sono solo tecnologicamente "mercificate". Per tornare dunque al topic del gesso vs tecnologia, la mia opinione è che di ogni alternativa al gesso occorra 1. imparare a sfruttare i vantaggi fino all'ultimo, penso alla scrittura collaborativa con Google docs o a CmapTools che si autorinnovano e che uso da 14 anni, senza mai confondere l'uso del mezzo e gli artefatti prodotti con l'effettivo risultato pedagogico e 2. abbandonare se i vantaggi reali non ci sono e non solo per il gusto di entusiasmarsi nuovamente su un'altra ultima moda appena arrivata, come mi pare essere l'atteggiamento più diffuso tra i "geek" tecnologici e oggi tra gli oscuri ministeriali (vedi pensiero computazionale imposto all'improvviso alla scuola dopo aver largamente dimenticato tutte le esperienze positive pregresse della primaria e media e anche i docenti esperti che vi erano).