martedì 30 dicembre 2014

Valutare l'insegnante singolo? troppo presto

Almeno se è per migliorare la scuola. Vada. se è per "scremare". Ma anche in questo caso, con riserve e non come dicono al 3PD, scusate, al 3L.

Metto i miei interventi su FB, prima che svanisca tutto.

Valutare implica una serie di parametri, che nascono da un sistema di analisi, una rilevazione dei bisogni. Questi, i bisogni del sistema, a loro volta nascono da scelte strategiche complessive, dal sapere che cosa si vuole andare a toccare nel sistema, in che direzione si vuole andare. Come si vuole che sia il futuro. Come scrisse Vertecchi, questa cosa significa mettere la scuola al traino dello sviluppo del paese, anziché al suo rincorrere affannoso, ed è stata fatta una sola volta e con successo nella storia della scuola italiana. La scorta di lungimiranza però si esaurisce, si è esaurita da 20-30 anni e non dovremmo aspettare un'altra guerra per fare un altro balzo nel futuro. Nel frattempo il ministero ha condotto varie misure palliative, basate sul cambiamenti degli esami di fine ciclo, confidando sulla ricaduta a cascata. Come dire: "nessuno sa cosa è bene e cosa è male, di cosa c'è bisogno, però vi aggiustò un po' l'obiettivo, risparmio un po' di soldi, e poi voi che siete del mestiere vi adeguate. E, per non saper né leggere né scrivere vi mettiamo un sistema di valutazione con criteri completamente esterni alla vostra realtà, e su cui non potete avere alcun ruolo consultivo (intendo, come contributo di ciascun singolo insegnante) e così siamo ancora più sicuri che vi darete da fare per raggiungere quell'obiettivo che neppure noi sappiamo quale sia (ma ovviamente vi facciamo credere che degli anonimi funzionari lo sappiano)". O meglio: "l'obiettivo è ovvio! È la meritocrazia! Chi non vuole la meritocrazia? Voi fate il vostro dovere e avrete le vostre medaglie al merito! Ma i nemici da cui difendersi quali sono? I doveri dell'INVALSI, per l'appunto!" Il cerchio si chiude! 
Morale della storiella: in un simile sistema schizofrenico, al quale è alquanto difficile accordare una minima fiducia, esiste una sola via d'uscita. Che noi, noi insegnanti, senza nessuno che ci rompa l'anima, iniziamo da soli a osservare ciò che succede nelle nostre e altrui classi, ficcare il naso, criticare costruttivamente e cominciare a classificare e distinguere i processi che stiamo dando per scontati, determinare i bisogni e le desiderata, analizzare la letteratura e anche ciò che viene fatto in altri sistemi educativi. Dare un nome alle cose e conoscerle è il primo passo da fare per iniziare un processo di valutazione dall'interno, prima ancora di accordarsi. Se noi speriamo di accordarci ora non ci riusciremo mai o lo faremo sull'obsoleto. Una volta fatto ciò sarà possibile determinare poche istanze di cambiamento fondamentali da mettere nelle scuole di specializzazione all'insegnamento, effettuate all'interno delle stesse scuole con l'impiego degli stessi insegnanti titolati, anziani e con esperienza, e nei corsi per lo sviluppo professionale continuo, in servizio, con il coinvolgimento di istituti di ricerca educativa accreditati. Una volta re-impossessati della nostra formazione (e della voglia di averne) avrà un senso osservare in modo mirato i processi e capire quali funzionano bene e quali meno bene ed allora, e solo allora, potrà avere un qualche senso "valutare l'insegnante". In un sistema alla deriva, come ora, non ha senso.

Cinzia: Credo che dovremmo essere favorevoli ad essere valutati, ci servirà senz'altro a crescere e migliorare.

Risposta a Cinzia, avere dei voti, che facciano capire se si è fatto male o bene, meglio delle spiegazioni e delle parole e di concetti che non sono ancora comprensibili, è il sistema che devo usare con gli "inconsapevoli", ossia fino a 14 anni. Oltre mi rifiuto. Noi siamo ridotti così male da non capire altro che bastoni e carote dai nostri "superiori"?

Pamela replica: Alfredo, direi che siamo messi molto male, decisamente. Anche a causa del fatto che non abbiamo superiori con la voglia e/o il potere di sanzionarci.

Risposta: Pamela, sarò presuntuoso ma non credo più di avere dei superiori sufficientemente autorevoli da "sanzionarmi", che non siano miei colleghi che stanno con me sul campo. Lo avrei accettato nei primi 10-15 anni di insegnamento, ma ora ne ho visti e viste abbastanza per capire che dai funzionari ministeriali non ho molto da imparare, mentre dai bravi dirigenti, ex bravi colleghi sì, ma sempre in un rapporto dialettico, non certo sanzionatorio.

Pamela dice ancora: Tutto ben detto Alfredo, ma tu hai appena descritti Utopia, lo sai, vero?

Pamela, sì lo so. (Ma come ho scritto sopra, questa utopia è stata possibile in passato e, in forme diverse, potrà essere di nuovo una "utopia possibile") Però dovrebbero semplicemente accordarci un credito, non pretenderemmo certo da loro che abbiano realmente una visione politica che ci guidi verso l'utopia. Loro continuino a tappare i buchi e pretendere di averne una. Come possono mai averne una? I professionisti, nel bene e nel male, siamo noi! La realtà scolastica è ciò che NOI stiamo facendo. Per trasformarla in utopia possibile dobbiamo innanzitutto conoscerla.

Pamela: Alfredo, per questo ci vorrebbe un livello di docenti formatori-valutatori, che abbiano una certa esperienza, abbiano superato test attitudinali e un serio concorso selettivo e siano stati formati ad hoc. Un livello di carriera del docente. Tu potresti accedere. Non lasciamo che i bravi, i motivati, lavorino sempre e solo per la gloria. L'ambizione non è un male se è indirizzata al miglioramento complessivo.

Risposta: quello che dici tu, Pamela, è come dice la Onofrio (Sono favorevolissima ad essere valutata. Anzi lo trovo uno stimolo che, per come sono fatta, "mi serve". Però ho una pretesa: che il valutatore sia "meglio di me" e che sia animato solo da propositi onesti. Ed è su questo punto che si apre un baratro...). Non so, pensando a me stesso, sono troppo "vecchio" per essere ambizioso. La cosa a cui tengo di più è poter essere partecipe ad un processo di miglioramento della scuola senza abbandonare del tutto le classi. Condivido quello che dici, ma al tempo stesso credo sia possibile un metodo più "naturale", basato sulla stima reciproca, sul rispetto, sul buon rapporto intergenerazionale. Sulla valutazione di "bravura" percepita dal basso e non insignita dall'alto da concorsi e valutatori improvvisati e assoldati ad hoc. La retribuzione può essere aumentata per semplice anzianità e concorsi per titoli. È il metodo più onesto (se non si fanno, ovviamente, le solite "porchette" all'italiana)

Chiusura: più che l'utopia, mi preoccupa ciò che dicono Daniela e Patrizia, riguardo alle due estremità del "gregge". Mi preoccupa nel senso che non si può non tenerne conto. Che in qualche modo ci si aspetterebbe che i "tappatori di buchi" o "rammendatori" ministeriali riuscissero per lo meno a scremare e "raddrizzare" l'estremità bassa delle pecorelle furbette che fanno il minimo o anche meno, e incentivare, e liberare da un po' di studenti, per poterla mettere in condizione di fare formazione, l'altra estremità esperta e motivata. Sarebbe dunque una specie di "valutazione funzionale". Un modo concreto non di elargire premi e punizioni, ma per dire: "guardate, non non ci capiamo una s. di come si può sistemare la scuola, però siamo disponibili a spendere un po' di soldi e darvi una dritta stimolando in questo modo il vostro CPD (sviluppo professionale continuo), purché voi vi diate una mossa e non aspettiate sempre la manna dal cielo. E considerate che anche se non siamo esperti come voi, però gli occhi ce li abbiamo e guardiamo". Non sarebbe tutto più facile e onesto? Invece no! loro dicono: noi siamo politici della scuola, siamo funzionari, universitari, abbiamo ottenuto l'autorevolezza attraverso i concorsi che abbiamo superato (o ce la diamo da soli) e anche la scienza infusa. Aspettatevi le indicazioni ministeriali, nuovi poteri ai dirigenti, e seguiteli, greggi!

Ora vado a leggermi il documento elaborato dal 3PD... scusate... 3L, a questo link.

Queste le considerazioni, punto a punto, coerenti con tutto quanto scritto sopra.

Premessa. OK, sta bene. Ma, come?

Punto 1: OK, ma occorre distinguere, in un simile complesso sistema, tra valutazione di
a) "chi sta facendo bene" (impossibile, ci vorrebbero tanti osservatori quanti gli insegnanti, cmq nel Regno Unito ha una certa diffusione un sistema in cui gli insegnanti e gli osservatori sono quasi le stesse persone, per cui potrebbe anche essere considerato) e
b) chi sta "cercando di fare bene"
Non è la stessa cosa. I colleghi, specie i tradizionalisti, sminuiscono il "cercare di fare bene", mentre questo è alla base del miglioramento, dello sviluppo professionale continuo, più dei cosiddetti "risultati", impossibili da contestualizzare in un sistema reso ancora più eterogeneo dalla sperequazione delle risorse e delle condizioni ambientali delle diverse scuole. E soprattutto è facile da valutare: basta seguire nel tempo l'attività dei docenti. La formazione, i titoli. Bastano dei concorsi a titoli. E ciò che conta non è, come dice il 3PD-L, il premio elargito, ma il tipo di diversificazione del lavoro dei "titolati al merito", che devono diventare il traino delle riforme e non smettere di insegnare, o insegnare meno ai giovani per compensare con i tirocini delle nuove leve.

Punto 2. OK, il "middle management" serve. Ma serve all'organizzazione dell'istituto. Si parla di dispensare incarichi scegliendo gli idonei alle funzioni relative a tale organizzazione. Ma non si va alla radice del problema principale: la relazione educativa con l'utenza di chi fa il mestiere di insegnare, del mediatore del sapere, che è diversa da quello del manager e del middle manager. Pensare che il middle managing si assuma la funzione di dettare legge sulla didattica e sulla relazione educativa, seguendo magari i principi della Qualità "Certificata", significa voler subordinare la relazione educativa e la didattica a problemi pratici, quotidiani e gestionali della scuola, rispettando la "Qualità", ma senza cambiare nulla nella qualità dell'insegnamento, anzi gravando i docenti di maggior burocrazia, aumentando la frammentazione della loro azione che diventa una fastidiosa interruzione dei sempre più numerosi comunicati da leggere e dalle attività extracurriculari, limitandone direttamente e indirettamente la libertà di insegnamento. Ottenendo insomma un effetto contrario a quello che si desidera dalla valutazione del singolo insegnante.

Punto 3. è la logica continuazione del 2 e conferma che stiamo parlando di due cose diverse. La carriera di manager e lo sviluppo professionale continuo nel rapporto educativo docente-docente, docente-alunno e alunno-alunno, tutti a carico della professione docente.

Punto 4. La figura di mentore è finalmente un vero passo avanti. Ma c'è da vedere:
a) cosa dovrà fare il mentore;
b) come potrà il mentore essere scelto dallo stesso comitato di valutazione che è esperto del managing pratico e quotidiano di una scuola, ma non di pedagogia e,
c) se potrà godere di una riduzione delle classi per poter fare il lavoro - impegnativo - di Mentore, o se sarà un gravame aggiuntivo che lo costringerà a togliere agli studenti per dare a Telemaco. Se è un problema di soldi, e se dovessi fare il mentore, preferirei avere gli stessi soldi ma meno classi, o anche meno studenti per classe, che non fare l'uno e l'altro male per giustificare soldi in più. Mi sentirei più gratificato. La giornata ha 24 ore e la settimana 7 giorni. Lo sanno? Bho!
d) se il mentore potrà avere carta bianca, compiti decisi a tavolino nella scuola stessa, oppure se dovrà fare il lacchè dei sapienti universitari che, come sempre è stato finora, aspettano le decisioni della buona scuola con la bava alla bocca.

Punto 5b. Comincia a preoccuparmi lo strapotere di questo comitato di valutazione. Come farà a premiare o anche a non premiare se stesso? Scenderà nella scuola da Marte?
5c. Ridicolo, la rotella dell'eccellenza e la rotazione meccanica formeranno un ingranaggio che si incastrerà da solo. Ma, contenti voi!!!
5d. Una di queste valide ragioni potrebbe consistere dall'essere schifati da questo sistema. "Essere in tensione" non significa stare attenti al collega che ha preso più medagliette e disseminare un'ansia svincolata dai problemi didattici. Significa avere tempi e modi per discutere - anche animatamente - dei problemi e parlare dell'organizzazione didattica, sul modello delle riunioni delle maestre elementari. Il sistema dei consigli di classe e dei decreti delegati va riformato e reso più flessibile, e retribuito direttamente ad orario, a chi vi lavora collaborativamente nell'organizzazione, presa di coscienza, presa di decisioni riguardanti la didattica di classe, senza tanti comitati di valutazione che "stanno a guardare".

Mantra a. Pagate la collaborazione qualificata da risultati, otterrete differenze riconoscibili, senza alcuna competizione.

Mantra b. Poi per valutare se l'equipe e la scuola come faranno? vedremo, qualche altro comitato, sceso questa volta da Giove. Così valuterà i comitati di valutazione d'istituto venuti da Marte.

lunedì 29 dicembre 2014

Perché questo aumento generalizzato delle difficoltà di apprendimento?

Antò. Ho pensato un po' più seriamente alla questione del'incremento preoccupante delle difficoltà di apprendimento.
La mia riflessione è stata scatenata da uno psicologo interpellato dalla RAI che ha detto oggi nella trasmissione sulla salute dopo il TG2 che si potrebbe fare molto per "curare" la dislessia intervenendo fin dai tre anni. Problemi genetici e casi di vera dislessia a parte, certamente oggi più diagnosticati di ieri, c'è una degenerazione culturale in atto
Per tutti i casi borderline, gli psicologi che diagnosticano misure compensative e dispensative non fanno che chiudere il ciclo di questo problema senza riuscire a intervenire sul sistema classe, nelle interazioni educative, nel funzionamento delle comunità di apprendimento nel loro insieme, rendendole veramente inclusive. Sono come quei medici che durante una guerra aumentano le scorte di zinco per sigillare le bare. Ma non sono loro la causa del problema. Non è come quando ti dissi: "non hanno il coraggio di dire agli insegnanti che il loro insegnamento non sta funzionando più e che avrebbero delle idee sul perché non lo fa, ma non vogliono disturbare lo status quo, quindi si va avanti con la medicalizzazione del problema". 
Ma non è neppure la scuola la vera causa prima del problema. La scuola è anzi una parte lesa (come dico sotto, da parte del mercato tecnologico)

Concordo con te che il numero dei sofferenti varie forme di svantaggio intellettuale, soprattutto quelle non diagnosticate, è in costante aumento, almeno per gli alunni quattordicenni che mi passano sotto da quasi trent'anni. I minori che vivono con disagio limitazioni delle funzioni cognitive, in input, o in elaborazione, o anche in output, stanno realmente aumentando di anno in anno.

Mi sto convincendo che il problema è causato anche da alcune derive culturali - tecnologiche esterne alla qualità della scuola: 

1° dalla diminuzione del bagaglio di ore di lettura e ascolto della lettura, crollate a livelli catastrofici nell'infanzia. Su questo punto ti invito a leggere Proust e il Calamaro di Maryanne Wolf
 (la risposta esatta alla penultima domanda della recensione è "perdite" e alla domanda finale  è "certamente sì").

2° nella tecnologia che instupidisce in diversi modi:

2.1 effetto distrazione. Oggi è molto più facile distrarsi di ieri. Arriva un bip sullo smartphone, un ping sul computer, un boing sul tablet e devo alzare la testa dalla pagina cartacea: ce la rimetterò quando avrò risposto al bip, curiosato sul ping pubblicitario, sistemato il boing del tablet e nel frattempo scritto qualche segno in risposta a degli SMS. Il tutto senza alzarmi dalla sedia. Como posso scavare un tema con dei pensieri profondi? L'unica ermeneutica che potrei fare in questo modo è quella delle cavità nasali con la mano che non uso per il tap&swipe. 
Una volta, se una lettura cartacea mi ispirava un'altra lettura, la distrazione non era eterodiretta, ma autogenerata. Dovevo alzare le chiappe per andare là dove il libro stava, ricordando più o meno la zona o anche il fatto che era una parte sottolineata e una volta trovato il testo mettevo insieme le due cose e aumentavo la portata della comprensione di ciò che stavo leggendo. Chiudevo la "distrazione creativa" con un appunto, o scrivevo ad un amico di letture vero, non su facebook.

2.2 Leggere è fatica. Per le nuove generazioni è una fatica terrificante. Ho visto un'amica di famiglia far leggere la figlia come una sorta di gioco in cui la figlia pronunciava (e in modo svogliato) una parola ogni tre e la madre le altre due. Perché? Perché leggere non è più per se stessi, ma per accontentare gli altri. Non è più chiaro che la comprensione e la conoscenza e persino il piacere possono derivare dalla lettura. Questa semplice percezione scoraggia la lettura.

2.3 effetto surrogato della lettura. Fin da piccoli ogni "compito" connesso con l'apprendimento o con l'intrattenimento, o un qualunque scopo da raggiungere, come istruirsi con i fratelli e amici per fare la "prima partita a Monopoli" (quando mai se oggi c'è la Play Station), è oggi surrogato dal touch, tap and swipe. Uno legge un titolo, la scritta in un pulsante. Poi clicca e va avanti. Se avanti non è andata bene, allora torna indietro. Se non riesce a tornare indietro, allora spegne tutto e ricomincia da capo. Dal cervello dei preadolescenti ed adolescenti sono scomparse le parole, le proposizioni, le coordinate e subordinate, i perché, i significati. Ci sono le mappe procedurali delle operazioni "da fare" ciecamente e le cose "che si possono fare" per far vedere che le si sanno fare. Ma a cosa servono? Bah: "c'è sempre qualcun'altro che potrà chiedermi come andare da lì a là... e questo mi basta per sentirmi importante". 

2.4 effetto omologazione della stupidità. Perché dovrei arrivare a leggere e capire un intero paragrafo di testo o superare le difficoltà di decodifica, quando posso cliccare da qualche parte o chiedere a qualcun altro "cosa c'è da fare" rispetto a quel compito di apprendimento? Si suppone che il compito sia fare (e non capire) qualcosa, e che questo qualcosa sia uguale per tutti, indipendentemente dal perché, dal suo senso, dalla sua origine, da cosa ci sta dietro. Qualcosa che appartiene alla scuola, al prof, non a "me" studente e persona autonoma. Quindi si crea una "social chain", che manda in visibilio gli adoratori della digital-twitter generation, in cui tutti copiano da tutti confidando che il primo della catena sappia e capisca ciò che doveva fare. Imitandolo sarà come l'aver capito o saputo fare; senza il "come"; sarà averlo capito e saputo fare effettivamente! Pia illusione e speranza vana, poiché nessuno tra i tanti pensava che potesse esserci qualcosa, nella propria mente, che si sarebbe lentamente sviluppata attraverso la fatica e l'esercizio della lettura, della contestualizzazione, dei tentativi ed errori di interpretazione che tutti noi della "vecchia generazione" abbiamo fatto e continuiamo a fare su testi di sempre maggior complessità.

2.5 Twitter e la contrazione senza limiti dell'informazione causata anche dalla miniaturizzazione di stupidi dispositivi con cui si dovrebbe fare tutto. Voglio che qualcuno faccia un dannato grafico che mostri come l'informazione utile crolla esponenzialmente con la diminuzione, sparizione delle parole e loro trasformazione in icone. Esempio:
Google Drive nel computer: "documenti condivisi con te" Una proposizione con soggetto, predicato e oggetto! "Con me" da altri! capito? non "da me ad altri! Il potere delle preposizioni. Grandioso! Stessa funzione nel tablet, leggo: "In arrivo"; in arrivo cosa? A chi? Sto cercando documenti su cui ho già lavorato, e allora perché, dannazione non li vedo tra i MIEI documenti! Il 90% degli studenti non li trova e rinuncia a questo stadio ad andare avanti. Passiamo al piccolissimo schermo del cellulare-smartphone: c'è un'icona che non si sa cosa cacchio significhi, mimetizzata con la grafica; forse aprirà l'elenco dei... Bho? Ecco il significato integrale intuito da tutti quanti si sono abituati ad usare drive.google a tentativi ed errori, eccola in tutta la sua bellezza e completezza: "documenti condivisi con me, ma di cui io non sono il proprietario o creatore originale". Ohhhhhhhhhhhhhh! Ma perché questa frase completa, inequivocabile, con parti ricorsive e parole funzionali, deve essere abbreviata? A che pro? "Perché l'utente va di corsa e non riesce a leggere in fretta il senso di una frase lunga!" Ma perché diamine non lo saprebbe fare? Ma non sarà forse per il fatto che è stato abituato fin da piccolo ad esprimersi ed ascoltare monosillabi e brevi comandi invece di voci calde e narranti, e dell'abitudine a soffermarsi solo sulle prime due o tre parole di un testo, quanto basta a capire ciò che deve fare, per poi abbandonarlo prima ancora di pensare al "perché" lo debba fare? 

È l'adeguamento del mercato che causa degenerazione culturale che a sua volta genera ulteriore adeguamento, in un circolo vizioso che segue le leggi del mercato.

Ironicamente - ma non sarcasticamente - parlando, andiamo avanti così e tra dieci anni uno studente che saprà leggere e scrivere un paragrafo dall'inizio alla fine, e capire perfino cosa significa, sarà oggetto delle attenzioni di un'equipe di psicologi e sarà dotato di strumenti compensativi e dispensativi.

Il problema è serio. La pedagogia è stata messa nella raccolta differenziata dallo stesso sistema educativo, anche da molti insegnanti, invece di essere chiamata a vigilare sul mercato tecnologico, almeno per tutelare la prima infanzia!

Se non cambiamo la cultura della letto-scrittura tra un po' i ragazzi a scuola non capiranno più un ragionamento minimo, un testo, un concetto, perché saranno regrediti a forme espressive primordiali, con il linguaggio dei segni, tacche sugli ossi (sempre in senso ironico), icone varie, ed espressioni gutturali e del viso (trasformare il proprio viso in emoticon, abitudine già molto diffusa, sostitutiva della parola).

Forse si sarà capito che sono un sostenitore del primato del linguaggio verbale! Mi dispiace se qualcuno non è d'accordo. Per rendere più chiaro cosa intendo, quando chiedo di leggere e vedo che la maggior parte degli studenti "fa finta" di leggere, ho inventato un metodo che non risolve il problema, ma almeno riesce a far capire che cosa pretenderei: ho constatato con piacere che gli ultimi gratta e vinci sono tutti diversi, per cui ogni volta che ne "gratti" uno "tocca leggere" tutto, e con attenzione, se vuoi capire se hai vinto oppure no. Ci sono paroline come "se", "allora"... Mi basta dire: "rileggi queste due righe come se fosse un gratta e vinci e devi capire se hai vinto".

PS. Antonio mi ha segnalato un esempio concreto del ciclo di instupidimento causato dal mercato che si adegua all'instupidimento del consumatore:
A questo proposito pensa che i giochetti (su playstation, xbox, ...),
piu' sofisticati ad ogni release, erano in forte calo perché giudicati noiosi (e ci credo, hai mai affrontato questi "giochi" ? Se non hai acume, intelligenza ed istinto, nisba!!!)
Allora hanno messo delle soluzioni automatiche a tempo per far credere al giocatore (new age) di averle trovate lui !!!!   I giochetti hanno ripreso il via con le vendite!