giovedì 3 marzo 2016

Sa la materia, ma...


Le parole esatte erano: "ha detto: sa la materia, ma non la sa spiegare e non sa relazionarsi con gli alunni".Le ho ascoltate da una giovane ragazza, mentre le riferiva ad un ragazzo, parimenti sconosciuto, che camminava in coppia con lei e mi incrociava scendendo via don Bosco. Il tono era di verdetto emesso da una giuria o diagnosi prodotta da professionista esperto, ed era confermato dalla cupa serietà del ragazzo che ascoltava e completava così il quadro di una "situazione specifica di disagio scolastico".Chiaramente non si trattava di un'opinione della giovane, che avrà avuto 15-16 anni al massimo, ma di quanto le aveva detto o " confidato" un qualche adulto (Collega? Genitore? Psicologo-educatore?)
Quindi stiamo parlando di come la dignità del singolo insegnante e, più in generale, dell'insegnamento, sia oramai qualcosa da dare in pasto delle possibili dicerie e inconsapevoli calunnie di tutti i possibili inesperti e non-professionisti, colleghi compresi.
Se è vero che non tutti gli insegnanti sono rispettabili allo stesso modo, è altrettanto vero che il rispetto incondizionato per l'insegnante, prerequisito sociale per la costruzione di una qualunque relazione educativa valida, è una categoria morale oramai estinta.
Come in tutte le situazioni complesse, multifattoriali, non si può parlare di verità assoluta, come i due ragazzi e il loro referente adulto hanno fatto, se non nel quadro di una prospettiva dialettica. Ossia, non si può trascurare l'influenza che questo stato di cose diffuso ha nel determinare la qualità e le potenzialità effettive nelle singole situazioni della relazione educativa. La distruzione su scala sociale della asimmetria tra insegnante ed alunno fa sì che la relazione educativa sia gravata da pregiudizi e semplificazioni incontrollate. Spesso, infatti, contraddittorie tra loro nelle diverse opinioni circolanti. Si dissolve così l'essenza e l'unicità del singolo insegnante (e con essa anche quella di ciascuno studente), come se ciò che l'insegnante "sa" o "non sa" fosse una grandezza oggettiva, come se l'azione dello "spiegare" fosse una qualità valutabile e indipendente dal soggetto ricevente e dalla relazione, come l'avere una lama affilata per un coltello, come se la più bella delle orazioni non possa lasciare del tutto immutata una classe che crede di aver capito tutto dopo non aver fatto altro che ascoltare catturata, e come se la capacità di stabilire una relazione fosse indipendente dal dato studente e da quali preconcetti egli abbia in testa - o gli siano stati messi in testa dalla continua diffusione delle dicerie, dagli stereotipi degli "psicologi" che parlano di scuola. Si arriva presto ad un punto tale che neppure i fatti manifesti dell'azione educativa, i risultati dell'investimento e della passione dell'unico professionista, contano qualcosa. L'insegnante diventa lo stereotipo che gli è stato cucito addosso da qualche genitore e lavandaia della scuola. Questo stato di cose ha portato alla distorsione della stessa relazione educativa, che non è più da maestro ad allievo, ma da badante-intrattenitore - prete dell'oratorio - sempre pronto ad farsi gli affari degli studenti (quella sarebbe una buona relazione!!!) ma sempre meno cultore di una tensione e passione per la disciplina insegnata, a dei sedicenti fruitori di servizi che pretendono serietà, ma poi la rifiutano non appena vedono che tale serietà ritorna loro riflessa in termini di impegno e senso di responsabilità, protetti dai loro genitori e magari pure dal DS, per non far fronte ad una faccenda ineliminabile: la fatica-gioia dell'apprendimento. Fatica piuttosto difficile da sostenere se si basa su relazioni simmetriche con insegnante stile "uno di noi", sempre pronto a soprassedere sul compito, sul contenuto e sulla sua comprensione, o a sprecare il tempo col giocattolo tecnologico, o men che mai attraverso una pedagogia delle relazioni tra pari in cui il compito della mediazione è affidato agli alunni stessi. Si è evidentemente dimenticato che la relazione educativa è una categoria molto diversa dalle normali relazioni interpersonali, più simile a quella parentale che non al rapporto lavorativo o di fruitore di servizi e dell'animatore del villaggio turistico. Tale cioè che, in assenza di interferenze sul soggetto della mediazione, la relazione potrebbe essere ben efficace anche con un mediatore del sapere non particolarmente brillante e comunicativo. Una "semplice" relazione educativa tra due persone ugualmente mansuete, ma con due ruoli diversi, asimmetrici assegnati loro dalla cultura che entrano in azione persino se nessuno dei due ne è consapevole. La distruzione sociale dell'asimmetria fa sì che si annulli la condizione si mansuetudine e che la relazione educativa acquisti il carattere di "trattativa" (con tanto di "contratti formativi", "patti formativi" con i genitori e varie "controparti"), dove la parola mediatrice soccombe alla moneta di scambio ufficializzata del voto, l'oggetto finale e determinante delle "transazioni" dell'istruzione occidentale. Trattative con persone che non sanno affatto dove devono andare, ma che pretendono di esercitare un "potere contrattuale" paritario per il semplice motivo che tale potere è stato loro assegnato in modo astratto.
Una volta il "bravo insegnante" poteva "scegliere" se dare "del lei" ai suoi studenti o essere molto protettivo, dialogante amorevole e "comprensivo", quasi materno, senza che ciò predeterminasse significativamente la qualità effettiva della sua azione didattica. Oggi non può più nemmeno scegliere di stare in una via di mezzo, perché alla prima difficoltà incontrata col gruppetto sbagliato di studenti, tutte le banderuole cambieranno direzione e tutta la sua arte e maestria svaniranno nello stereotipo "sa la materia, ma non la sa spiegare", né sa relazionarsi con i propri presuntuosi ed autoeletti giudici.

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