venerdì 5 settembre 2014

Concept change, SCIIS e giocare alle teorie scientifiche

Mentre cercavo delle fonti ancora acquistabili sul progetto SCIIS mi sono imbattuto in questo articolo di ricerca. http://files.eric.ed.gov/fulltext/ED242769.pdf 

La mia impressione generale è che le metodologie basate sulla scoperta e sui cicli di apprendimento abbiano cercato di correggere le concezioni alternative degli studenti con interventi ad hoc "dall'esterno", mentre i cambiamenti sono più spesso il risultato di adattamenti "interni" e graduali (come anche trovato da Smith e Lott). 

L'articolo è uno dei tanti che riconosce che, anche nel migliore insegnamento, questi interventi comportano una fatica immensa ma producono scarsi risultati. 

La limitazione non riguarda specificamente le metodologie costruttiviste, ma qualunque idea pedagogica che presuma di basare il suo intervento sulla conoscenza preliminare dettagliata delle cognizioni di uno specifico alunno isolatamente dal contesto sociale e indipendentemente dal livello di sviluppo delle sue strutture di generalizzazione (Vygotskij), dei sui tipi di lingua pedagogica e gesti mentali (De la Garanderie) o, in sintesi, del tipo di linguaggio e discorso interiore e della capacità del soggetto di passarlo in consapevolezza. 

Il metodo del conflitto cognitivo, ossia l'attacco diretto alle misconcezioni portato dall'esterno non è efficace perché alla sua base assume una dominanza di pensiero razionale che invece non c'è. 

La quota razionale, il pensiero per concetti "consapevole", può essere sviluppata nel periodo dell'adolescenza, ed è importante che ciò avvenga. Sviluppare un pensiero per concetti è il più importante degli obiettivi della scuola secondaria. 

Ma nel frattempo, e forse anche dopo, non sarà mai auspicabile né conveniente adottare processi o "rimedi" educativi razionali di "aggiustamento" per ottenere modificazioni stabili o "correzioni" del comportamento cognitivo su ciascuna specifica questione, su ciascuno studente, senza far nulla per modificare la quota spontanea, irrazionale ed emotiva. 

Ciascuno di noi ha un mondo mentale di raffigurazioni e idee implicite della realtà, che gestisce secondo delle abitudini cognitive che si sviluppano lungo tutta la vita, senza peraltro mai arrivare a raggiungere non dico il 100% ma neppure, probabilmente, il 50% della consapevolezza. 

La quota spontanea, dunque maggioritaria per tutta la vita, può essere modificata "volontariamente" solo prendendo atto che oltre alla logica e alla razionalità esiste in noi un cervello che procede per tentativi ed errori, un "generatore di configurazioni casuali" zombico, poco intelligente, che accelera le procedure di associazione allo scopo di determinare o percepire, innanzitutto, se l'ambiente in cui si trova l'organismo è ostile o favorevole all'omeostasi. 

Allo scopo, la prima cosa che questa parte della nostra mente cerca di evitare, è la generalizzazione, perché "lei" "sa" benissimo che i fattori di rischio sono imprevedibili e incostanti, per cui il "fiuto", la "prima impressione" e il rapido e conseguente giudizio binario, meritano sempre di essere presi in considerazione al di là di ogni logica del "pensiero lento", razionale. 

Questa è una cattiva notizia perché, ad esempio, lo studente che effettua o osserva una dimostrazione sperimentale, non generalizzerà automaticamente le evidenze ad una classe di fenomeni simili, ad un principio. E non basteranno le parole dell'insegnante a garanzia. 

D'altra parte non possiamo realizzare tutte le esperienze possibili e sovraccaricare la sua mente di tutte le evidenze possibili e in principio necessarie a "dimostrare" qualcosa. 

Quindi non dovremmo aspettarci mai, o pretendere che un problema cognitivo specifico sia risolvibile una volta per tutte e che non debbano esserci "ricadute" verso concezioni alternative pregresse, in particolare cambiando contesto o venendo meno la presenza e la mediazione dell'insegnante

(a volte lo studente deve dire una cosa scorretta, aspettarsi la negazione dell'insegnante, per poi dire la cosa giusta. Questo è un fatto normale, un esempio di come il cervello sfrutti l'interazione sociale e non preferisca a priori la logica e la scansione degli archivi della memoria, per cui qualunque metodo è adatto per arrivare a delle previsioni corrette - vedi P.C. Rivoltella - L'uomo è un animale sociale e di solito si affida ai suoi conspecifici senza temere alcunché. In altre parole, l'evoluzione non ha favorito il tipo di intelligenza necessario a superare test individuali, e la nostra società, e tanto meno il sistema educativo, dovrebbe evitare nel modo più assoluto di attribuire meriti sulla base di tali test). 

Semplicemente come insegnanti dobbiamo smettere di considerare la "ricaduta" o la dimenticanza del singolo studente come un'esperienza frustrante e dobbiamo smettere di pensare che se il nostro programma segue uno sviluppo logico, intellegibile e razionale allora automaticamente ciò lo renderà digeribile e direttamente trasmissibile senza intoppi, in modo additivo e stratificabile, come mani di vernice. 

La buona notizia è che la quota spontanea o implicita del nostro pensare è costruita socialmente e culturalmente così come quella esplicita. Questo significa che essa è influenzabile attraverso le pratiche, le interazioni, il gioco, il linguaggio dialogico tra pari. Quindi la scuola, e certi suoi progetti, hanno una ragione di esistere. 

Un'altra cattiva notizia è che in tal caso è inutile o impossibile parlare di concept change di un singolo individuo; piuttosto la cosa acquista un senso all'interno di una comunità di apprendimento. Per quanto riguarda il singolo individuo il massimo che possiamo fare è avere un approccio "probabilistico". 

Anche la costruzione delle unità didattiche deve passare da un approccio basato sulla programmazione ad uno più "live" e quindi probabilistico, anche se ciò crea dei seri problemi ai sistemi di istruzione formali basati sui syllabus. 

Le conseguenze (pratiche) di queste semplici "rivelazioni" sulla natura del pensiero umano sul come si debba educare e porsi nei confronti dell'educazione mi sembrano quasi scontate. 

In particolare si evince che ciò che conta maggiormente è la quantità di attività che viene fatta, la capacità che essa abbia di suscitare manipolazione, dibattito e ascolto reciproco e di diventare via via sempre più sofisticata, mettendo in campo sempre più aspetti sistematici e concettuali del pensiero. 

In questo senso si possono inserire marchingegni e macchine operatrici ed altri esperimenti di investigazione scientifica anche a livelli di scuola molto diversi tra loro. Come metodologia per educare il pensiero implicito e immaginativo che servirà e si svilupperà per tutta la vita.