domenica 26 aprile 2015

Pensiero laterale e barometri

Stimolato da un post di FB sul pensiero laterale di deBono, associato a questa pagina "meme fasullo di Internet",
ho pensato di rivedere qualche vecchio ricordo su de Bono e di verificare la leggenda metropolitana su Bohr. Se fosse stato veramente Bohr, George Gamov avrebbe parlato copiosamente dell'episodio! 

Comunque quello studente così singolare, se ciò che racconta il prof. Calandra è vero, meriterebbe almeno un nome e cognome. Ma veniamo alla parte che mi interessa veramente.

De Bono ci ricorda che la scuola insegna solo a ricordare e riprodurre procedure. I nostri studenti dicono: "come si faceva questo?"
Li stiamo riducendo a riproduttori o " restitutori" di contenuti e procedure cieche (prive di significato).
Il pensiero laterale è invece un pensiero produttivo, che non è "ragionamento logico", ma sfrutta l'implicito, la mente viaggiante a ruota libera.
Innanzitutto è un grave errore pensare che i nostri studenti desiderino quel tipo di scuola che richiede di pensare liberamente e con la propria testa in ogni disciplina,  quando loro ritengono di saperlo fare a sufficienza per le loro questioni, per lo più non scolastiche, che li interessano. Dalla scuola si aspettano e preferiscono ricevere certezze, procedure da applicare ciecamente e senza coinvolgimento (a parte quello connesso con premi e punizioni), e si ribellano all'idea del rischio extra che sarebbe correlato alla sfida di un vero problema. Giustamente, considerano sufficiente il rischio di insuccesso che si corre nel riprodurre procedure certe. Punto di vista inevitabile e comprensibile, almeno finché il sistema di valutazione continuerà a premiare la quantità e la correttezza di risultati su prestazioni e non la qualità di processi, il coinvolgimento attivo, con percorsi e attività adeguati.
De Bono sottovaluta però l'aspetto evolutivo della mente. Il pensiero produttivo, o laterale, di un preadolescente creativo non è per niente lo stesso di quello di un adulto. I livelli di consapevolezza sono totalmente diversi se l'adulto ha sviluppato un pensiero per concetti. La consapevolezza, che permette di distanziarsi dalla propria creazione e riprodurla anche senza avere i pezzi sotto mano, e senza dovere ogni volta ricominciare tutto da capo, è data dal fatto di dare un nome alle cose, anche astratte, ossia dal pensiero per concetti. Sono i concetti che "catturano le intuizioni" e le mettono nella memoria semantica, rendendole accessibili al pensiero "verticale", logico che - come ammette lo stesso de Bono - è altrettanto importante di quello laterale. Sono sempre i concetti, le parole, a permettere di dare significato e trascendenza alle cose che la nostra mente produce in questo " spazio libero".

Ecco perché il problem solving e il metodo della scoperta puro e gran parte dell'ibse non funzionano.

Non fanno nulla per aiutare lo sviluppo del pensiero per concetti, che accompagna l'adolescenza se e solo se l'adolescente si trova nel l'adeguato contesto socioculturale. Non si tratta di sviluppare i concetti o insegnare i concetti, ma di sviluppare "strutture di generalizzazione" capaci di sistematizzazione a partire dalle strutture di generalizzazione che non ne sono capaci (pre-concettuali) e che si sono sviluppate precedentente. Una "strumentazione" mentale tanto nuova e diversa da quella del 12-enne quanto il pensiero che produce è diverso da quello che ri-produce. La scuola non è sufficientemente (concettualmente) consapevole delle differenze  tra stadi di sviluppo e tra le strutture di generalizzazione che sono state oggetto delle indagini sperimentali di Vygotskij, pluriconfermate da esperimenti successivi, e trasformate in una teoria socioculturale coerente. 

La scuola va avanti ancora per tentativi ed errori, più che altro è brava a lamentarsi, con insegnanti che si basano esclusivamente sulla propria esperienza, costruita per lo più tutta su una stessa fascia d'età, dove invece la teoria socioculturale fornisce oggi il necessario quadro teorico per non considerare tutti gli studenti dell'istruzione secondaria così come si considerano essi stessi: "sempre uguali nel tempo" a dispetto di ogni evidenza o, peggio, "uguali all'insegnante", dato che "la logica è logica, ed è uguale per tutti" (come pensa la maggior parte dei colleghi di matematica).

Quindi attenzione ad appoggiarsi troppo sull'affermazione finale del ragazzo: "ne ho abbastanza dei professori che vogliono insegnarmi come pensare". Molti colleghi saranno già pronti a prenderlo come alibi per non fare nulla e degradare la conoscenza della psicologia dell'età evolutiva a sterile " psicologismo". È nostro compito invece costruire una didattica per l'apprendistato cognitivo e insegnare proprio a pensare meglio, costruire teste ben fatte, e non "rispettare" la presupponenza di una minoranza di studenti giustificabile solo in presenza di professori che ottusamente "pretendono 'LA' risposta "giusta" (quella da loro conosciuta e che ne esclude altre), ossia misurare la pressione al livello stradale e in cima al grattacielo e poi applicare la formula giusta.

POST SCRIPTUM: collaborazione analogico - verbale
Durante la mia 2R domenicale (running reflection) mi sono reso conto che con questo post rischio di dare l'impressione che il quadro teorico di Vygotskij costituisca un punto d'arrivo definitivo. Niente di tutto ciò. La descrizione di V. si riferisce allo sviluppo dei concetti nel contesto del pensiero verbale. Ho pensato infatti che molto si potrà ancora fare per avere una descrizione valida integrando la teoria di V. con concetti più moderni. Il fenomeno della transizione dalla struttura di generalizzazione per pseudo-concetti (complessi) a quella per concetti propri, in particolare, è sempre una progressione lenta e non qualcosa che "scatta" all'improvviso da una modalità all'altra. Se vediamo una persona creativa preadolescente come una persona che ha buone capacità di rievocare pezzi della propria memoria episodica (completa al livello percettivo ed emotivo, piena di senso ma non prettamente verbale, e scarsamente consapevole), rilevando analogie (pensiero analogico) sull'oggetto problematico e di riflessione, e se consideriamo che lo stesso soggetto, qualche anno dopo potrebbe aver sviluppato un gran bagaglio di conoscenze dichiarative senza che queste abbiano alcuna capacità di interagire con le prime, allora non è possibile che il tipo di sviluppo descritto da V. non sia altro che l'avvio di una sorta di "collaborazione" tra il pensiero verbale e quello analogico, ricco di immagini e percezioni statiche? Il pensiero verbale immette degli statement di conoscenza dichiarativa, accademica, in loop fonologici della memoria di lavoro, prolungandone in tal modo il tempo di permanenza, mentre il pensiero analogico, implicito, che lavora in parallelo e persino quando non siamo del tutto coscienti, si dà da fare a provare associazioni e testarle fino a riuscire a "sovrapporle" alle parole, come nubi che finalmente riescono a radunarsi e dar luogo alla pioggia fertilizzatrice.
Credo che questo processo, che richiede aiuto, tempi lunghi ed esperienze di successo, corrisponda con quanto V. fa avvenire nella zona di sviluppo prossimale. In altre parole il pensiero creativo di un adulto che ha una buona padronanza nell'uso evocativo di concetti astratti estende di molto il campo di esperienza da cui attingere, le possibilità di controllo reciproco tra le due modalità di pensiero, aumentando la creatività vera (che non è quella artistica, ma quella permette di riconoscere e risolvere problemi inediti). Questa "collaborazione", una volta divenuta in qualche modo consapevole, permette anche di approcciare in modo diverso lo studio di questioni teoriche astratte, perché lo studente non si accontenta più di relazioni puramente logiche o gerarchiche, o di definizioni, tra i concetti, ma pretende di ricostruire lo stesso senso concreto che caratterizza altri concetti di cui ha esperienza più diretta. Passa cioè dalla conoscenza puramente dichiarativa a quella per lui significativa.