sabato 31 agosto 2013

Per avere un apprendimento significativo occorre innanzitutto che l'insegnamento sia significativo

Qual è la differenza tra apprendimento significativo e non significativo? esiste qualche reale differenza? Almeno in un caso osservato penso di poter essere in grado di rispondere alla prima domanda e affermativamente alla seconda.

Come sempre dopo gli esami integrativi di agosto emergono profonde riflessioni sul senso di ciò che stiamo facendo a scuola.
Non chiedi di ripetere nessuna prassi consolidata, non pretendi nulla, ma proponi di parlare su "parole" molto semplici, che però sai che per qualcuno, o spesso, hanno costituito difficoltà e su cui, pertanto, hai lavorato durante l'anno. Alcuni di questi ragazzi (di quelli che sapevi già essere ad un diverso livello di sviluppo cognitivo) ti spiattellano risposte immediate, nonostante abbiano studiato altro o non si siano preparati affatto. Nella maggior parte dei casi, invece, ti rendi conto che concetti come "volume", "centesimo", "composto", "concentrazione", ecc. non sono posseduti: cioè i contesti non richiamano i termini, per quanti sforzi tu faccia, o i termini che proponi non richiamano azioni ed usi corretti, appropriati al contesto. Ti domandi perché tali apprendimenti siano stati scarsamente significativi, e la risposta e auto-giustificazione è evidente: "sto pensando a quei ragazzi che presentano le maggiori difficoltà e che si portano dietro anche lacune di base, che dipendono non solo dal mio insegnamento, ma anche da altri fattori".

Uno di questi studenti, candidato per il secondo anno di chimica generale, ha cercato di prepararsi durante l'estate con un ragazzo diplomato con 95/100, un ottimo soggetto in tutti i sensi, che tra le altre cose gli ha insegnato a risolvere problemi sul pH così come lui sapeva fare ad un buon livello "professionale" in una delle materie della specializzazione. 
Essendo a conoscenza di tutto ciò, ho chiesto semplicemente al candidato se fosse più acida una soluzione acquosa a pH 1 o una a pH 8, specificando che non sapevamo cosa vi fosse sciolto e che non ci importasse saperlo. Il ragazzo ha cominciato a sfoderare a vanvera ipotesi sul contenuto di sali derivanti da acidi e basi forti e deboli e ad esibire una particolare procedura di calcolo arbitraria e facente uso del logaritmo (mai vista durante l'anno). 

Il mio pensiero, e il titolo del post, riguardano la qualità di quell'insegnamento: l'insegnamento ricevuto dallo studente diplomato quando, meglio di molti gli altri, aveva studiato quella materia.

Se gli studenti di chimica imparano e dimostrano di sapere che il pH è una particolare procedura di calcolo che si deve saper attuare, se la procedura di calcolo del pH conta più del valore aggiunto dato dalla conoscenza del pH, rispetto alle concentrazioni da cui deriva, qualora vi sia un tale valore aggiunto, se non si indagano i limiti del contesto di questa conoscenza (quando il pH non è affatto definibile e quando lo è), cioè se uno studente della secondaria si comporta con questo pezzo di sapere come si comporterebbe uno della primaria con la divisione in colonna (nonostante un concetto come il pH dovrebbe registrare livelli di consapevolezza ben diversi da quelli di un alunno della primaria), se, in definitiva, questo uso di una singola specifica procedura, si trova a rappresentare tutto ciò che di essenziale si conosce bene riguardo al concetto di pH, sapendo per esperienza che questo tipo di preparazione non costituisce un caso isolato, ma la totalità degli studenti e delle classi del triennio, tutto ciò ha una sola spiegazione possibile: 

l'insegnamento del pH non è stato significativo. 

C'è stato un insegnamento procedurale, non concettuale. 

E tra queste due cose c'è una bella differenza.

Ovviamente quel ragazzo saprebbe rispondere al quesito sulle due soluzioni, ma lo sa per esperienza, ne ha una consapevolezza di tipo pratico, esperienziale, che certamente comprende anche il legame con la procedura matematica a lui familiare. Ma probabilmente quel ragazzo non sarà consapevole di altre peculiarità fondamentali del concetto di pH, della sua natura e della sua essenza. Perché esso è stato "inventato", quando, e perché, da chi, a che serve, come e perché funzionano i metodi per determinarlo, direttamente o indirettamente, quando è definibile e quando no, se può essere o meno generalizzabile. Tutte operazioni che richiedono una padronanza concettuale che, mi par di sentire già, in una scuola tecnica non debba richiedersi (e insegnarsi). Invece è proprio quella necessaria per il "thinking out of the box", per affrontare problemi e questioni nuove, diverse dai problemi standardizzati che si è abituati a risolvere meccanicamente, anche apparentemente semplici, come ad esempio come fare a far capire la natura del pH ad una persona qualunque che non sa nulla di chimica.

Se nell'insegnamento non c'è mai una problematicità, e c'è solo proceduralità, come ci si può aspettare che i ragazzi sappiano fare qualcosa di diverso dall'applicare procedure, anche bene, ma in modo cieco? 

Come ci si può aspettare che essi capiscano che si parla di contesti reali, di esigenze che non nascono dalla scuola, ma da come è fatto il mondo?

E senza capire queste due cose, come pensiamo che essi - e le loro famiglie - possano comprendere il senso dell'aggettivo "superiore" della scuola secondaria?

Perché continuiamo a illudere noi stessi e gli altri che possa essere sufficiente essere bravi esecutori o applicatori di pratiche, magari con i canoni della Qualità Totale, che non occorra accorgersi che esiste anche un livello intellettuale in cui cominciare almeno a muovere i primi passi, e che chiunque in linea di principio possa sviluppare prima o poi le proprie doti intellettive anche in questo modello di scuola tecnica?

Io credo che si possa fare molto meglio.

Nessun commento: