lunedì 6 maggio 2013

Flipped evaluation


Gli scettici quando vedono applicata una strategia costruttivista, non tradizionale, dicono: "e i risultati?"

I risultati sono ciò che gli studenti fanno

Vieni e osserva.

Nel sistema di valutazione tradizionale si tende a identificare il risultato del test come indice di preparazione e di obiettivi raggiunti. Questa idea è completamente sballata (almeno nella scuola, forse non all'università). 

E' sballato il concetto di obiettivi raggiunti. Il concetto di "profitto scolastico" è un'IDIOZIA di cui liberarsi, assieme alla "meritocrazia" ad esso associata.

La scuola deve preparare la forma mentis base, la capacità dell'individuo di approcciarsi-re in modo corretto al-la conoscenza (cosa che non dovrebbe manifestarsi per magia all'università dopo che lo studente ha studiato lungo 10 anni per i voti, considerando corpo estraneo da sé il sapere scolastico), mentre gli obiettivi che la scuola deve misurare non si trovano nel passato ("raggiunti"), ma nel futuro (potenzialmente raggiungibili). 

Non esiste alcun test che permetta di rilevare gli obiettivi raggiunti da un singolo studente o da un insegnante come qualcosa di ben correlato con le potenzialità future dello studente. Se c'è una correlazione blanda, questa è un artefatto statistico che risulta essenzialmente dagli aspetti del clima culturale in cui l'alunno vive, dall'ambiente e dalle risorse che hanno forgiato le sue attitudini di partenza, su cui la scuola ha interferito parzialmente o addirittura in modo negativo cristallizzando lo status sociale e penalizzando le difficoltà di apprendimento. La correlazione non è affatto una dimostrazione di causa-effetto, ma dell'esistenza di una causa comune e preesistente per ciò che l'alunno fa a scuola oggi e ciò che continuerà a fare in futuro, tanto più quanto la valutazione scolastica tende a "cristallizzare" la persona sulle sue attitudini e risposte del momento. Si dice proprio: a "classificare". I voti sono delle "classificazioni". 
Questa lettura dei dati è nota dai tempi di Barbiana, sta riemergendo recentemente,  (e qualcuno pensa che siano esternazioni della sinistra che "ogni tanto deve pur dire qualcosa di sinistra") mentre la scuola degli insegnanti e dirigenti continua a fare finta di nulla, ad abbassare gli obiettivi, e a campare di illusioni, credere nel merito e nel valore dei suoi "votini" dati ad alunni diligentini che studiano le lezioncine per il giorno dopo. E pretende di dimostrare che i buoni risultati di uno studente nella vita dopo la scuola siano correlati al suo successo scolastico come misurato da questo tipo di valutazioni, ergo al presunto buon funzionamento della scuola. Questa è una grossolana falsità. Basta una persona che ricorda con piacere la scuola frequentata (chi non lo fa!), che ha avuto un certo successo nella vita, che tutta la scuola si sente tronfia di orgoglio. 

Gli anni di scuola devono servire per lavorare, per fare apprendistato cognitivo.

L'unica realtà osservabile e degna di essere valutata è la quantità di lavoro fatto, inteso come la quantità dei processi che si sono attivati pazientemente, costantemente, individualmente e collaborativamente in un clima "democrative" e stimolante l'interesse e l'intelletto. 
Questa è l'unica misura possibile che può pretendere di essere correlata ai processi attivabili o non attivabili nel tempo futuro

In questo senso il mio sistema di valutazione, che registra e stimola esclusivamente il lavoro fatto, altrimenti detto "impegno agito" o "dedizione", è "flipped" (capovolto).

Esaminiamo le cose dal punto di vista del sistema "vigente".

L'insegnante istruisce gli alunni sulle procedure da attuare (apprendistato pratico-cinestetico, a bassissima densità concettuale), assegna agli studenti dei lavori da fare, a scuola e a casa, per esercitarsi. Alla fine del processo fa dei test scritto-pratico-orali per "verificare" se le cose sono andate come avrebbero dovuto.
Nella maggior parte dei casi gli studenti non si sono esercitati come necessario e le cose non vanno come dovevano andare. 

Soltanto alla fine di un processo con scarsi feedback ci si rende conto dell'insuccesso. 

Senza contare che anche i casi di successo sono ugualmente di insuccesso, perché l'apprendimento che si realizza è comunque scarsamente significativo e concettualmente povero. 

Se l'insegnante considera valido il percorso che ha portato a così scarsi risultati, gli alunni dicono (dopo) che non capiscono nulla, che tutto è difficile. Gli stessi studenti capiscono molto meglio altre materie dove, grazie al fatto che le verifiche si adeguano al progressivo degrado della quantità, della qualità e della stessa possibilità di effettuare studio autonomo, e sono calibrate in modo da produrre comunque voti accettabili nella maggioranza degli alunni. 
Di fatto ciò produce un progressivo scadimento della qualità degli apprendimenti, senza cambiare la quantità di inutili verifiche da preparare e correggere ciecamente, senza capire che si è innescato un processo peggiorativo senza fine.

Sono convinto che la maggior parte dei miei colleghi sono talmente presi da questa frenetica attività valutativa, da non avere il tempo di tirare fuori la testa per rendersi conto di quanto sia assurda, o forse pensano semplicemente che non esistano altri diversi possibili ritmi e incentivi allo studio.

Occorre arretrare il momento della valutazione e posizionarlo sul punto debole del processo: il lavoro autonomo e quello collaborativo (quest'ultimo particolarmente penalizzato). E' una risposta ovvia.

Se i ragazzi non prendono mai atto e consapevolezza del compito di apprendimento in quanto tale, in alcuna fase del processo, resteremo sempre bloccati nel circolo vizioso del peggioramento continuo: meno studio, verifiche più facili, togliamo la necessità di interpretare testi scritti che creano difficoltà in ragazzi non abituati alla lettura, togliamo i problemi autentici, perché solo pochi ci sanno ragionare e anche quei pochi che ci riescono, durante le verifiche rischiano di perdersi se devono fronteggiare "indovinelli" in un tempo limitato, riduciamo i contenuti scritti a poche linee di testo o schemetti da imparare e ripetere all'orale o "rispostine" aperte, ecc. ecc. I prodotto di questo gioco al ribasso consiste negli stessi voti di sempre, ma con un peggioramento della qualità reale degli apprendimenti e della stessa gioia di frequentare la scuola.

Se invece noi, come sto facendo da un anno, valutassimo esclusivamente l'impegno, avremmo dei ragazzi costretti non a studiare il giorno prima della verifica, non a rendersi conto solo da questa di non aver imparato nulla o a illudersi di sapere qualcosa solo perché hanno ottenuto un buon voto, ma "costretti" a lavorare continuamente, a collaborare, a fare e a pensare su ciò che fanno.

E questo fare non è visto in funzione di un'ulteriore e successiva valutazione di tipo tradizionale, quella "vera". No. Non ci sarà alcuna valutazione successiva, sommativa, di fine percorso. Non ci sarà nessuna classificazione del profitto, ma solo una basata sula dedizione. Nessuna classificazione degli studenti, molto diversi tra loro, rispetto ad una stessa norma.

I processi del fare, pensare e riflettere preferibilmente in collaborazione, COSTITUISCONO l'obiettivo e l'elemento stesso della valutazione della possibilità che i processi acquisiti siano utilizzati anche in futuro.

La dedizione misura ed è linearmente correlata con l'incremento relativo delle potenzialità del singolo studente, il suo valore aggiunto e i suoi reali passi avanti, il differenziale entro certi limiti indipendentemente dal livello di partenza. Questo valore aggiunto non può essere misurato "ora", perché ora possiamo intravedere solo qualcosa che descrive il passato dello studente, mentre la parte migliore (e realmente utile) è quella che potrà manifestarsi in un futuro in cui lo studente si costruirà da solo le proprie "verifiche". E quanto questo futuro sarà roseo non può che dipendere da quanto lavoro lo studente attua e accumula, quanta esperienza di gesti mentali, quante volte sperimenta su se stesso e intimamente il successo di riuscire a portare un compito a compimento, quante volte riesce a spiegare ad altri compagni il significato di un termine o di una pratica, quante volte si trova in condizioni di dover far uso di un concetto e non di una procedura pre-assegnata per arrivare ad un risultato e, dunque, fa ciò. 

Tutte queste cose non si "verificano", ma avvengono, si fanno avvenire, si fanno fare

Evidentemente non tutti faranno tutto. Ci sono i pigri, gli amanti della tradizione in cui non devono necessariamente esprimere una determinata quantità di lavoro minima per avere una valutazione sufficiente. Quelli che presumono che se l'insegnante spiegasse normalmente e se loro dovessero ripetere il contenuto della spiegazione in esercizi di verifiche o interrogazione, potendo scegliere liberamente se lavorare a casa o meno, sarebbero già sufficientemente intelligenti per superare "con profitto" le verifiche, così come manifestamente riescono nelle altre verifiche (truccate).  Soprattutto ci sono quelli che non vogliono compromettersi con il sapere. Sono e vogliono rimanere "ben altra cosa" rispetto all'oggetto e alla metodologia della conoscenza. Per loro e per le loro famiglie la scuola è una specie di servizio militare, da ottemperare, non qualcosa di cui appassionarsi attraverso l'impegno e la dedizione. Se tutte le materie seguissero il criterio della valutazione dell'impegno tutti questi "scettici dello studio" capirebbero che dovrebbero fare qualcosa di diverso che scaldare banchi e se ne andrebbero spontaneamente, oppure cambierebbero atteggiamento. Tutti lo cambierebbero se la maggioranza studiasse in questo regime. I rispettivi insegnanti perderebbero meno tempo in inutili e squallide verifiche, e avrebbero modo di scoprire molte cose eccitanti della disciplina che insegnano.

Quando l'insegnante opera per far fare agli studenti tutto ciò è a sua volta costretto ad attuare una transizione da istruttore di pratiche prive di significato (almeno per gli studenti, ma a volte per l'istruttore stesso) a mediatore di apprendistato cognitivo.

In tal caso emerge il rovescio della medaglia. Quanti sono professionalmente pronti a questa transizione?

4 commenti:

maura ha detto...

Al di là delle dissertazioni credo siano i risultati che contano. Allora facci un esempio concreto di attività e di come hai valutato.

Unknown ha detto...

Non sono d'accordo con l'estensore di questo articolo nel quale egli fa riferimento a un'idea di scuola e di valutazione ampiamente superate. Da tempo nella scuola, dove indubbiamente c'e' ancora molto da cambiare, tanti insegnanti preparati hanno raccolto la sfida della progettazione per competenze dove il sapere,il fare, la motivazione e l'impegno dell'alunno sono imprescindibili. La progettazione per competenze tende a sollecitare, in contesti di realtà e di concretezza, i processi cognitivi superiori, a stimolare l'interesse e a mettere alla prova le capacità dei ragazzi.La valutazione, proprio a causa della complessità e del dinamismo dei processi attivati, della diversificazione dei contesti e delle situazioni impreviste, richiede agli insegnanti un approccio integrato fatto di modalità diverse, in grado di raccogliere con accuratezza dati e descrivere le prestazioni osservabili- conoscenze, abilità e comportamenti - e gli aspetti interni e più profondi del processo di apprendimento-consapevolezza, livello di soddisfazione, motivazione ad imparare,ecc.- La valutazione e' quindi fatta da osservazioni, diari di bordo, ma anche di compiti di prestazione e prove di verifica in modo da dare all'alunno costanti feed-back sul suo apprendimento, autonomo e in collaborazione. L'articolo è, sostanzialmente, una buona critica alla vecchia scuola e al suo modo di valutare con lo sguardo rivolto all'indietro.
Pasquale Avolio

Alfredo Tifi ha detto...

L'idea della valutazione sarà superata, ma in tutto ciò che è agito, intorno a me nulla è cambiato. Sono anche stanco di provare a cambiare da solo. I ragazzi sono lì davanti a te. Puoi anche riuscire a intrattenerli, perfino a farli lavorare, far loro assaporare i risultati della comprensione. Ma non potranno mai divenire tuoi, miei alleati. Alla fine avranno a che fare col rischio della prestazione, col voto, con la necessità di essere efficienti, con o senza comprensione. La riflessione è tenuta fuori dalla scuola, oppure addomesticata, guidata, stereotipata dagli umanisti. Assente nelle scienze, ridotte a tecnicismo. La maggioranza vince, non c'è nulla da fare se non partire dal LORO modello, dai loro linguaggi forgiati da questo stupidissimo modello: "prof! ho preso sette meno in matematica!".

Alfredo Tifi ha detto...

Maura: al mio top arrivai al voto di classe. Due mesi di sperimentazione. Era una situazione favorevole ero solo, come ora, ma almeno abbastanza libero e autonomo per sperimentare senza polemiche, scusanti varie, anticorpi ecc... https://docs.google.com/document/d/18WSt6kTTTwKIYx8aEVgpn0IXw4mWpfdEsOYT0Xg6uqA/edit