mercoledì 13 luglio 2011

Professore: quando andiamo in laboratorio?

Sottotitolo: mezzi e fini

Risposta al post "Professore, quando andiamo in laboratorio?", su Educazione 2.0

è una delle domande che odio di più. Come dire: "invece a star qui a sorbirci un compito di apprendimento al quale è interessato solo il prof, perché non accendiamo la televisione? Poi, girando col telecomando, troveremo qualcosa per passare il tempo". Questo è esattamente ciò che hanno in mente la maggior parte degli studenti italiani, tranne forse qualche figlio di papà in qualche scuola ultraprivata, quando chiedono (o spesso anche pretendono) di andare in laboratorio, come da calendario. Si sa che ci si vuole andare, ma non si sa a fare che cosa. Non importa. Questo è vero sia che si tratti di un laboratorio di informatica, sia di chimica. E' evidente che a tutti piaccia la vita dello spettatore e del "curiosatore", ben più di quella del discente: risposte passive di fronte a tutto ciò che comporti cambiamento e sforzo di comprensione, risposte attive nei confronti di tutto ciò che comporti puro svago e divertimento, o puro curiosare (non seguito da alcuna responsabilità individuale di studio e approfondimento sistematico).

Il vero problema è che spesso il compito di apprendimento (il fine) non è definito, non è condiviso o ambedue le cose, fin dall'inizio. Il problema delle tecnologie è irrilevante di fronte a questo problema, ed è subordinato ad esso.

Non possiamo confondere l'uso di "concessioni", "diversivi motivanti e divertenti", e passa-tempi trascorsi in laboratorio (mezzi, che costano molto più degli strumenti tradizionali), con il raggiungimento del fine.

So per certo, per i numerosi tentativi fatti, che anche quando si hanno a disposizione mezzi tecnologici (che il 90-95% dei miei studenti possiede a casa e il 100% usa sistematicamente a scuola), la "realizzazione di una vera e inclusiva comunità educativa" è ostacolata dal fattore "fine curriculare" (quando questo riguarda la mente degli studenti e non le ram dei computer o i fogli stampati). E' così. Le ICT non risolvono il problema centrale dell'istruzione, superare compiti di apprendimento e comprensione che richiedono pazienza, impegno, perseveranza, aiuto e mediazione a volte uno a uno e una comunità di apprendimento. Solo in situazioni veramente eccezionali, che richiedono anni di lavoro si realizzano vere comunità di apprendimento, ma in tali casi vi si riesce anche in assenza di tecnologie o con un uso limitato delle tecnologie. L'esempio da tenere a mente è quello di Don Milani, non quello di 25 ragazzi sbracati davanti al computer, ciascuno a farsi gli affari propri come succede nelle realtà dove si usano aule di informatica. Sono i ragazzi stessi che a 16-18 anni mi dicono: "finché si gioca si gioca, ma quando devo capire e imparare qualcosa mi serve un libro, una matita, una persona che mi sa spiegare, e devo spegnere il computer che mi distrae". Purtroppo ogni volta che si parla di ICT a scuola si parla sempre degli strumenti usati, ma mai di ciò che si fa di cognitivamente e di significativamente diverso dalle "solite" lezioni con tali strumenti tecnologici.

Le lezioni senza tecnologie devono essere per forza etichettate come "solite" e come "frontali"? Sarà... ma io invece, da chimico, che analizza le cose e non chiama "uguali" cose diverse, e non perde di vista la concretezza della materia e degli scopi, dico che le lezioni fatte con le tecnologie sono giochini divertenti che sfiorano la superficie delle discipline e girano attorno ai problemi. Almeno adesso siamo pari.


Post scriptum da FB

Perdere tempo in distrazioni (e aggeggi che non funzinanononsicolleganonon​sonougualinonsiaggiornanon​onstampanonononsalvano) è ancora più discriminante. In Finlandia ho visto ben altro. In un laboratorio, con tutti i mezzi tecnologici del mondo: SPENTI, lezione interattiva, ma frontale, sequenziale, con i "soliti" banchi a scacchiera. Strumenti usati: testo, gesso lavagna, quaderno e fogli di carta e altri oggetti comuni per capire la caduta dei gravi. Chi faceva le dimostrazioni? la prof. e due allievi irrequieti che così almeno non infastidivano. Gli altri 20 quattordicenni partecipavano domandando, proponendo, scrivendo e rispondendo. Non fremevano per salire anch'essi sul banco e per piegare o accartocciare i fogli e lasciar cadere le monete. Sapevano che il compito era cognitivo e non manipolativo e condividevano questo fine implicito. L'ambiente era stimolante. Le concezioni precedenti sono state messe in crisi senza formule e senza matematica. Il metodo era sufficientemente inquisitivo e motivante. Questa era una docente normale, molto giovane, in una scuola normale che svolgeva una lezione normalmente preparata e standardizzata per essere ripetuta in altre classi.

Per cortesia, guardiamo prima la sostanza, non gli strumenti, se vogliamo migliorare la scuola.

2 commenti:

savifani ha detto...

Non credo affatto che le TIC risolvano tutti i problemi della scuola . Quello che vorrei mettere in evidenza è il disagio che si prova nella scuola quando non si creano pari opportunità. Alcuni docenti e alcune classi hanno facile accesso al laboratorio, altri no! Alcune classi possono fare lezione con la lim e altre devono continuare a fare lezione secondo i vecchi canoni. Vi è in questo una discriminazione che merita una discussione. So bene che ai ragazzi bisogna far conoscere e capire "l'essenza delle cose" al di là dei tecnicismi e degli artifici informatici. Il mio intervento mira, però, a denunciare l'affermarsi nella scuola di un tecnologismo scenico e appariscente che avvantaggia pochi ed ne esclude tanti . Si tratta di fare un uso "scientifico" degli strumenti informatici, ben organizzato, per arricchire e potenziare le competenze linguistiche e comunicative. "La lingua rende uguali" diceva D.L.Milani!

Teresa ha detto...

Ben detto. Oggi riunione di dipartimento, la prima nella mia scuola definitiva. Magari si facessero questi discorsi, nelle riunioni di dipartimento ....