martedì 30 dicembre 2014

Valutare l'insegnante singolo? troppo presto

Almeno se è per migliorare la scuola. Vada. se è per "scremare". Ma anche in questo caso, con riserve e non come dicono al 3PD, scusate, al 3L.

Metto i miei interventi su FB, prima che svanisca tutto.

Valutare implica una serie di parametri, che nascono da un sistema di analisi, una rilevazione dei bisogni. Questi, i bisogni del sistema, a loro volta nascono da scelte strategiche complessive, dal sapere che cosa si vuole andare a toccare nel sistema, in che direzione si vuole andare. Come si vuole che sia il futuro. Come scrisse Vertecchi, questa cosa significa mettere la scuola al traino dello sviluppo del paese, anziché al suo rincorrere affannoso, ed è stata fatta una sola volta e con successo nella storia della scuola italiana. La scorta di lungimiranza però si esaurisce, si è esaurita da 20-30 anni e non dovremmo aspettare un'altra guerra per fare un altro balzo nel futuro. Nel frattempo il ministero ha condotto varie misure palliative, basate sul cambiamenti degli esami di fine ciclo, confidando sulla ricaduta a cascata. Come dire: "nessuno sa cosa è bene e cosa è male, di cosa c'è bisogno, però vi aggiustò un po' l'obiettivo, risparmio un po' di soldi, e poi voi che siete del mestiere vi adeguate. E, per non saper né leggere né scrivere vi mettiamo un sistema di valutazione con criteri completamente esterni alla vostra realtà, e su cui non potete avere alcun ruolo consultivo (intendo, come contributo di ciascun singolo insegnante) e così siamo ancora più sicuri che vi darete da fare per raggiungere quell'obiettivo che neppure noi sappiamo quale sia (ma ovviamente vi facciamo credere che degli anonimi funzionari lo sappiano)". O meglio: "l'obiettivo è ovvio! È la meritocrazia! Chi non vuole la meritocrazia? Voi fate il vostro dovere e avrete le vostre medaglie al merito! Ma i nemici da cui difendersi quali sono? I doveri dell'INVALSI, per l'appunto!" Il cerchio si chiude! 
Morale della storiella: in un simile sistema schizofrenico, al quale è alquanto difficile accordare una minima fiducia, esiste una sola via d'uscita. Che noi, noi insegnanti, senza nessuno che ci rompa l'anima, iniziamo da soli a osservare ciò che succede nelle nostre e altrui classi, ficcare il naso, criticare costruttivamente e cominciare a classificare e distinguere i processi che stiamo dando per scontati, determinare i bisogni e le desiderata, analizzare la letteratura e anche ciò che viene fatto in altri sistemi educativi. Dare un nome alle cose e conoscerle è il primo passo da fare per iniziare un processo di valutazione dall'interno, prima ancora di accordarsi. Se noi speriamo di accordarci ora non ci riusciremo mai o lo faremo sull'obsoleto. Una volta fatto ciò sarà possibile determinare poche istanze di cambiamento fondamentali da mettere nelle scuole di specializzazione all'insegnamento, effettuate all'interno delle stesse scuole con l'impiego degli stessi insegnanti titolati, anziani e con esperienza, e nei corsi per lo sviluppo professionale continuo, in servizio, con il coinvolgimento di istituti di ricerca educativa accreditati. Una volta re-impossessati della nostra formazione (e della voglia di averne) avrà un senso osservare in modo mirato i processi e capire quali funzionano bene e quali meno bene ed allora, e solo allora, potrà avere un qualche senso "valutare l'insegnante". In un sistema alla deriva, come ora, non ha senso.

Cinzia: Credo che dovremmo essere favorevoli ad essere valutati, ci servirà senz'altro a crescere e migliorare.

Risposta a Cinzia, avere dei voti, che facciano capire se si è fatto male o bene, meglio delle spiegazioni e delle parole e di concetti che non sono ancora comprensibili, è il sistema che devo usare con gli "inconsapevoli", ossia fino a 14 anni. Oltre mi rifiuto. Noi siamo ridotti così male da non capire altro che bastoni e carote dai nostri "superiori"?

Pamela replica: Alfredo, direi che siamo messi molto male, decisamente. Anche a causa del fatto che non abbiamo superiori con la voglia e/o il potere di sanzionarci.

Risposta: Pamela, sarò presuntuoso ma non credo più di avere dei superiori sufficientemente autorevoli da "sanzionarmi", che non siano miei colleghi che stanno con me sul campo. Lo avrei accettato nei primi 10-15 anni di insegnamento, ma ora ne ho visti e viste abbastanza per capire che dai funzionari ministeriali non ho molto da imparare, mentre dai bravi dirigenti, ex bravi colleghi sì, ma sempre in un rapporto dialettico, non certo sanzionatorio.

Pamela dice ancora: Tutto ben detto Alfredo, ma tu hai appena descritti Utopia, lo sai, vero?

Pamela, sì lo so. (Ma come ho scritto sopra, questa utopia è stata possibile in passato e, in forme diverse, potrà essere di nuovo una "utopia possibile") Però dovrebbero semplicemente accordarci un credito, non pretenderemmo certo da loro che abbiano realmente una visione politica che ci guidi verso l'utopia. Loro continuino a tappare i buchi e pretendere di averne una. Come possono mai averne una? I professionisti, nel bene e nel male, siamo noi! La realtà scolastica è ciò che NOI stiamo facendo. Per trasformarla in utopia possibile dobbiamo innanzitutto conoscerla.

Pamela: Alfredo, per questo ci vorrebbe un livello di docenti formatori-valutatori, che abbiano una certa esperienza, abbiano superato test attitudinali e un serio concorso selettivo e siano stati formati ad hoc. Un livello di carriera del docente. Tu potresti accedere. Non lasciamo che i bravi, i motivati, lavorino sempre e solo per la gloria. L'ambizione non è un male se è indirizzata al miglioramento complessivo.

Risposta: quello che dici tu, Pamela, è come dice la Onofrio (Sono favorevolissima ad essere valutata. Anzi lo trovo uno stimolo che, per come sono fatta, "mi serve". Però ho una pretesa: che il valutatore sia "meglio di me" e che sia animato solo da propositi onesti. Ed è su questo punto che si apre un baratro...). Non so, pensando a me stesso, sono troppo "vecchio" per essere ambizioso. La cosa a cui tengo di più è poter essere partecipe ad un processo di miglioramento della scuola senza abbandonare del tutto le classi. Condivido quello che dici, ma al tempo stesso credo sia possibile un metodo più "naturale", basato sulla stima reciproca, sul rispetto, sul buon rapporto intergenerazionale. Sulla valutazione di "bravura" percepita dal basso e non insignita dall'alto da concorsi e valutatori improvvisati e assoldati ad hoc. La retribuzione può essere aumentata per semplice anzianità e concorsi per titoli. È il metodo più onesto (se non si fanno, ovviamente, le solite "porchette" all'italiana)

Chiusura: più che l'utopia, mi preoccupa ciò che dicono Daniela e Patrizia, riguardo alle due estremità del "gregge". Mi preoccupa nel senso che non si può non tenerne conto. Che in qualche modo ci si aspetterebbe che i "tappatori di buchi" o "rammendatori" ministeriali riuscissero per lo meno a scremare e "raddrizzare" l'estremità bassa delle pecorelle furbette che fanno il minimo o anche meno, e incentivare, e liberare da un po' di studenti, per poterla mettere in condizione di fare formazione, l'altra estremità esperta e motivata. Sarebbe dunque una specie di "valutazione funzionale". Un modo concreto non di elargire premi e punizioni, ma per dire: "guardate, non non ci capiamo una s. di come si può sistemare la scuola, però siamo disponibili a spendere un po' di soldi e darvi una dritta stimolando in questo modo il vostro CPD (sviluppo professionale continuo), purché voi vi diate una mossa e non aspettiate sempre la manna dal cielo. E considerate che anche se non siamo esperti come voi, però gli occhi ce li abbiamo e guardiamo". Non sarebbe tutto più facile e onesto? Invece no! loro dicono: noi siamo politici della scuola, siamo funzionari, universitari, abbiamo ottenuto l'autorevolezza attraverso i concorsi che abbiamo superato (o ce la diamo da soli) e anche la scienza infusa. Aspettatevi le indicazioni ministeriali, nuovi poteri ai dirigenti, e seguiteli, greggi!

Ora vado a leggermi il documento elaborato dal 3PD... scusate... 3L, a questo link.

Queste le considerazioni, punto a punto, coerenti con tutto quanto scritto sopra.

Premessa. OK, sta bene. Ma, come?

Punto 1: OK, ma occorre distinguere, in un simile complesso sistema, tra valutazione di
a) "chi sta facendo bene" (impossibile, ci vorrebbero tanti osservatori quanti gli insegnanti, cmq nel Regno Unito ha una certa diffusione un sistema in cui gli insegnanti e gli osservatori sono quasi le stesse persone, per cui potrebbe anche essere considerato) e
b) chi sta "cercando di fare bene"
Non è la stessa cosa. I colleghi, specie i tradizionalisti, sminuiscono il "cercare di fare bene", mentre questo è alla base del miglioramento, dello sviluppo professionale continuo, più dei cosiddetti "risultati", impossibili da contestualizzare in un sistema reso ancora più eterogeneo dalla sperequazione delle risorse e delle condizioni ambientali delle diverse scuole. E soprattutto è facile da valutare: basta seguire nel tempo l'attività dei docenti. La formazione, i titoli. Bastano dei concorsi a titoli. E ciò che conta non è, come dice il 3PD-L, il premio elargito, ma il tipo di diversificazione del lavoro dei "titolati al merito", che devono diventare il traino delle riforme e non smettere di insegnare, o insegnare meno ai giovani per compensare con i tirocini delle nuove leve.

Punto 2. OK, il "middle management" serve. Ma serve all'organizzazione dell'istituto. Si parla di dispensare incarichi scegliendo gli idonei alle funzioni relative a tale organizzazione. Ma non si va alla radice del problema principale: la relazione educativa con l'utenza di chi fa il mestiere di insegnare, del mediatore del sapere, che è diversa da quello del manager e del middle manager. Pensare che il middle managing si assuma la funzione di dettare legge sulla didattica e sulla relazione educativa, seguendo magari i principi della Qualità "Certificata", significa voler subordinare la relazione educativa e la didattica a problemi pratici, quotidiani e gestionali della scuola, rispettando la "Qualità", ma senza cambiare nulla nella qualità dell'insegnamento, anzi gravando i docenti di maggior burocrazia, aumentando la frammentazione della loro azione che diventa una fastidiosa interruzione dei sempre più numerosi comunicati da leggere e dalle attività extracurriculari, limitandone direttamente e indirettamente la libertà di insegnamento. Ottenendo insomma un effetto contrario a quello che si desidera dalla valutazione del singolo insegnante.

Punto 3. è la logica continuazione del 2 e conferma che stiamo parlando di due cose diverse. La carriera di manager e lo sviluppo professionale continuo nel rapporto educativo docente-docente, docente-alunno e alunno-alunno, tutti a carico della professione docente.

Punto 4. La figura di mentore è finalmente un vero passo avanti. Ma c'è da vedere:
a) cosa dovrà fare il mentore;
b) come potrà il mentore essere scelto dallo stesso comitato di valutazione che è esperto del managing pratico e quotidiano di una scuola, ma non di pedagogia e,
c) se potrà godere di una riduzione delle classi per poter fare il lavoro - impegnativo - di Mentore, o se sarà un gravame aggiuntivo che lo costringerà a togliere agli studenti per dare a Telemaco. Se è un problema di soldi, e se dovessi fare il mentore, preferirei avere gli stessi soldi ma meno classi, o anche meno studenti per classe, che non fare l'uno e l'altro male per giustificare soldi in più. Mi sentirei più gratificato. La giornata ha 24 ore e la settimana 7 giorni. Lo sanno? Bho!
d) se il mentore potrà avere carta bianca, compiti decisi a tavolino nella scuola stessa, oppure se dovrà fare il lacchè dei sapienti universitari che, come sempre è stato finora, aspettano le decisioni della buona scuola con la bava alla bocca.

Punto 5b. Comincia a preoccuparmi lo strapotere di questo comitato di valutazione. Come farà a premiare o anche a non premiare se stesso? Scenderà nella scuola da Marte?
5c. Ridicolo, la rotella dell'eccellenza e la rotazione meccanica formeranno un ingranaggio che si incastrerà da solo. Ma, contenti voi!!!
5d. Una di queste valide ragioni potrebbe consistere dall'essere schifati da questo sistema. "Essere in tensione" non significa stare attenti al collega che ha preso più medagliette e disseminare un'ansia svincolata dai problemi didattici. Significa avere tempi e modi per discutere - anche animatamente - dei problemi e parlare dell'organizzazione didattica, sul modello delle riunioni delle maestre elementari. Il sistema dei consigli di classe e dei decreti delegati va riformato e reso più flessibile, e retribuito direttamente ad orario, a chi vi lavora collaborativamente nell'organizzazione, presa di coscienza, presa di decisioni riguardanti la didattica di classe, senza tanti comitati di valutazione che "stanno a guardare".

Mantra a. Pagate la collaborazione qualificata da risultati, otterrete differenze riconoscibili, senza alcuna competizione.

Mantra b. Poi per valutare se l'equipe e la scuola come faranno? vedremo, qualche altro comitato, sceso questa volta da Giove. Così valuterà i comitati di valutazione d'istituto venuti da Marte.

lunedì 29 dicembre 2014

Perché questo aumento generalizzato delle difficoltà di apprendimento?

Antò. Ho pensato un po' più seriamente alla questione del'incremento preoccupante delle difficoltà di apprendimento.
La mia riflessione è stata scatenata da uno psicologo interpellato dalla RAI che ha detto oggi nella trasmissione sulla salute dopo il TG2 che si potrebbe fare molto per "curare" la dislessia intervenendo fin dai tre anni. Problemi genetici e casi di vera dislessia a parte, certamente oggi più diagnosticati di ieri, c'è una degenerazione culturale in atto
Per tutti i casi borderline, gli psicologi che diagnosticano misure compensative e dispensative non fanno che chiudere il ciclo di questo problema senza riuscire a intervenire sul sistema classe, nelle interazioni educative, nel funzionamento delle comunità di apprendimento nel loro insieme, rendendole veramente inclusive. Sono come quei medici che durante una guerra aumentano le scorte di zinco per sigillare le bare. Ma non sono loro la causa del problema. Non è come quando ti dissi: "non hanno il coraggio di dire agli insegnanti che il loro insegnamento non sta funzionando più e che avrebbero delle idee sul perché non lo fa, ma non vogliono disturbare lo status quo, quindi si va avanti con la medicalizzazione del problema". 
Ma non è neppure la scuola la vera causa prima del problema. La scuola è anzi una parte lesa (come dico sotto, da parte del mercato tecnologico)

Concordo con te che il numero dei sofferenti varie forme di svantaggio intellettuale, soprattutto quelle non diagnosticate, è in costante aumento, almeno per gli alunni quattordicenni che mi passano sotto da quasi trent'anni. I minori che vivono con disagio limitazioni delle funzioni cognitive, in input, o in elaborazione, o anche in output, stanno realmente aumentando di anno in anno.

Mi sto convincendo che il problema è causato anche da alcune derive culturali - tecnologiche esterne alla qualità della scuola: 

1° dalla diminuzione del bagaglio di ore di lettura e ascolto della lettura, crollate a livelli catastrofici nell'infanzia. Su questo punto ti invito a leggere Proust e il Calamaro di Maryanne Wolf
 (la risposta esatta alla penultima domanda della recensione è "perdite" e alla domanda finale  è "certamente sì").

2° nella tecnologia che instupidisce in diversi modi:

2.1 effetto distrazione. Oggi è molto più facile distrarsi di ieri. Arriva un bip sullo smartphone, un ping sul computer, un boing sul tablet e devo alzare la testa dalla pagina cartacea: ce la rimetterò quando avrò risposto al bip, curiosato sul ping pubblicitario, sistemato il boing del tablet e nel frattempo scritto qualche segno in risposta a degli SMS. Il tutto senza alzarmi dalla sedia. Como posso scavare un tema con dei pensieri profondi? L'unica ermeneutica che potrei fare in questo modo è quella delle cavità nasali con la mano che non uso per il tap&swipe. 
Una volta, se una lettura cartacea mi ispirava un'altra lettura, la distrazione non era eterodiretta, ma autogenerata. Dovevo alzare le chiappe per andare là dove il libro stava, ricordando più o meno la zona o anche il fatto che era una parte sottolineata e una volta trovato il testo mettevo insieme le due cose e aumentavo la portata della comprensione di ciò che stavo leggendo. Chiudevo la "distrazione creativa" con un appunto, o scrivevo ad un amico di letture vero, non su facebook.

2.2 Leggere è fatica. Per le nuove generazioni è una fatica terrificante. Ho visto un'amica di famiglia far leggere la figlia come una sorta di gioco in cui la figlia pronunciava (e in modo svogliato) una parola ogni tre e la madre le altre due. Perché? Perché leggere non è più per se stessi, ma per accontentare gli altri. Non è più chiaro che la comprensione e la conoscenza e persino il piacere possono derivare dalla lettura. Questa semplice percezione scoraggia la lettura.

2.3 effetto surrogato della lettura. Fin da piccoli ogni "compito" connesso con l'apprendimento o con l'intrattenimento, o un qualunque scopo da raggiungere, come istruirsi con i fratelli e amici per fare la "prima partita a Monopoli" (quando mai se oggi c'è la Play Station), è oggi surrogato dal touch, tap and swipe. Uno legge un titolo, la scritta in un pulsante. Poi clicca e va avanti. Se avanti non è andata bene, allora torna indietro. Se non riesce a tornare indietro, allora spegne tutto e ricomincia da capo. Dal cervello dei preadolescenti ed adolescenti sono scomparse le parole, le proposizioni, le coordinate e subordinate, i perché, i significati. Ci sono le mappe procedurali delle operazioni "da fare" ciecamente e le cose "che si possono fare" per far vedere che le si sanno fare. Ma a cosa servono? Bah: "c'è sempre qualcun'altro che potrà chiedermi come andare da lì a là... e questo mi basta per sentirmi importante". 

2.4 effetto omologazione della stupidità. Perché dovrei arrivare a leggere e capire un intero paragrafo di testo o superare le difficoltà di decodifica, quando posso cliccare da qualche parte o chiedere a qualcun altro "cosa c'è da fare" rispetto a quel compito di apprendimento? Si suppone che il compito sia fare (e non capire) qualcosa, e che questo qualcosa sia uguale per tutti, indipendentemente dal perché, dal suo senso, dalla sua origine, da cosa ci sta dietro. Qualcosa che appartiene alla scuola, al prof, non a "me" studente e persona autonoma. Quindi si crea una "social chain", che manda in visibilio gli adoratori della digital-twitter generation, in cui tutti copiano da tutti confidando che il primo della catena sappia e capisca ciò che doveva fare. Imitandolo sarà come l'aver capito o saputo fare; senza il "come"; sarà averlo capito e saputo fare effettivamente! Pia illusione e speranza vana, poiché nessuno tra i tanti pensava che potesse esserci qualcosa, nella propria mente, che si sarebbe lentamente sviluppata attraverso la fatica e l'esercizio della lettura, della contestualizzazione, dei tentativi ed errori di interpretazione che tutti noi della "vecchia generazione" abbiamo fatto e continuiamo a fare su testi di sempre maggior complessità.

2.5 Twitter e la contrazione senza limiti dell'informazione causata anche dalla miniaturizzazione di stupidi dispositivi con cui si dovrebbe fare tutto. Voglio che qualcuno faccia un dannato grafico che mostri come l'informazione utile crolla esponenzialmente con la diminuzione, sparizione delle parole e loro trasformazione in icone. Esempio:
Google Drive nel computer: "documenti condivisi con te" Una proposizione con soggetto, predicato e oggetto! "Con me" da altri! capito? non "da me ad altri! Il potere delle preposizioni. Grandioso! Stessa funzione nel tablet, leggo: "In arrivo"; in arrivo cosa? A chi? Sto cercando documenti su cui ho già lavorato, e allora perché, dannazione non li vedo tra i MIEI documenti! Il 90% degli studenti non li trova e rinuncia a questo stadio ad andare avanti. Passiamo al piccolissimo schermo del cellulare-smartphone: c'è un'icona che non si sa cosa cacchio significhi, mimetizzata con la grafica; forse aprirà l'elenco dei... Bho? Ecco il significato integrale intuito da tutti quanti si sono abituati ad usare drive.google a tentativi ed errori, eccola in tutta la sua bellezza e completezza: "documenti condivisi con me, ma di cui io non sono il proprietario o creatore originale". Ohhhhhhhhhhhhhh! Ma perché questa frase completa, inequivocabile, con parti ricorsive e parole funzionali, deve essere abbreviata? A che pro? "Perché l'utente va di corsa e non riesce a leggere in fretta il senso di una frase lunga!" Ma perché diamine non lo saprebbe fare? Ma non sarà forse per il fatto che è stato abituato fin da piccolo ad esprimersi ed ascoltare monosillabi e brevi comandi invece di voci calde e narranti, e dell'abitudine a soffermarsi solo sulle prime due o tre parole di un testo, quanto basta a capire ciò che deve fare, per poi abbandonarlo prima ancora di pensare al "perché" lo debba fare? 

È l'adeguamento del mercato che causa degenerazione culturale che a sua volta genera ulteriore adeguamento, in un circolo vizioso che segue le leggi del mercato.

Ironicamente - ma non sarcasticamente - parlando, andiamo avanti così e tra dieci anni uno studente che saprà leggere e scrivere un paragrafo dall'inizio alla fine, e capire perfino cosa significa, sarà oggetto delle attenzioni di un'equipe di psicologi e sarà dotato di strumenti compensativi e dispensativi.

Il problema è serio. La pedagogia è stata messa nella raccolta differenziata dallo stesso sistema educativo, anche da molti insegnanti, invece di essere chiamata a vigilare sul mercato tecnologico, almeno per tutelare la prima infanzia!

Se non cambiamo la cultura della letto-scrittura tra un po' i ragazzi a scuola non capiranno più un ragionamento minimo, un testo, un concetto, perché saranno regrediti a forme espressive primordiali, con il linguaggio dei segni, tacche sugli ossi (sempre in senso ironico), icone varie, ed espressioni gutturali e del viso (trasformare il proprio viso in emoticon, abitudine già molto diffusa, sostitutiva della parola).

Forse si sarà capito che sono un sostenitore del primato del linguaggio verbale! Mi dispiace se qualcuno non è d'accordo. Per rendere più chiaro cosa intendo, quando chiedo di leggere e vedo che la maggior parte degli studenti "fa finta" di leggere, ho inventato un metodo che non risolve il problema, ma almeno riesce a far capire che cosa pretenderei: ho constatato con piacere che gli ultimi gratta e vinci sono tutti diversi, per cui ogni volta che ne "gratti" uno "tocca leggere" tutto, e con attenzione, se vuoi capire se hai vinto oppure no. Ci sono paroline come "se", "allora"... Mi basta dire: "rileggi queste due righe come se fosse un gratta e vinci e devi capire se hai vinto".

PS. Antonio mi ha segnalato un esempio concreto del ciclo di instupidimento causato dal mercato che si adegua all'instupidimento del consumatore:
A questo proposito pensa che i giochetti (su playstation, xbox, ...),
piu' sofisticati ad ogni release, erano in forte calo perché giudicati noiosi (e ci credo, hai mai affrontato questi "giochi" ? Se non hai acume, intelligenza ed istinto, nisba!!!)
Allora hanno messo delle soluzioni automatiche a tempo per far credere al giocatore (new age) di averle trovate lui !!!!   I giochetti hanno ripreso il via con le vendite!

domenica 16 novembre 2014

Che cosa ostacola la buona scuola e l'integrazione delle tecnologie

Nel gruppo italiano di Google Apps for Education su google plus, stanno cominciando ad emergere commenti positivi di chi fa uso del nuovo google classroom. Per esempio Andrea e Laura scrivono che "è un prodotto intuitivo e molto utile nella gestione della classe", e che "gli alunni ci stanno lavorando senza difficoltà.


il problema non è infatti la difficoltà tecnico-gestionale, ma il passare dall'uso come supporto ulteriore allo studio (optional) all'uso come ambiente di lavoro collaborativo "obbligato", cioè alternativo al tradizionale e "non additivo" ad esso. Tale da giustificare il lavoro aggiuntivo richiesto all'insegnante. Altrimenti, l'avere una bacheca e delle lezioni che ciascuno legge quando vuole e se ne ha voglia, dei compiti che non è obbligatorio svolgere, potrebbero essere fatti in altri dieci modi diversi, forse con meno lavoro. 


Il problema è che in un sistema che favorisce lo studio collaborativo, e non solo un modo diverso di fare i compiti per casa, anche se ingrana e se per questo l'insegnante riesce a fare solo da ideatore di scopi di studio, supervisore, coordinatore e valutatore, ci sono sempre dei feedback, stimoli, suggerimenti e commenti da fornire in modo continuativo. E tutto ciò comporta una mole di lavoro per l'insegnante, notevole anche nel caso la metodologia vada appunto a sostituire le lezioni e valutazioni tradizionali sia in classe sia online. La quantità e la continuità da assicurare a questo lavoro fatto sui documenti di studio che i gruppi di scopo elaborano, superano quelle di chi prepara lezioni, le mette ogni tanto online e assegna il compitino, prepara compiti in classe li assegna e corregge e fa i giri di interrogazioni orali (tutte cose che di fatto rendono quasi superfluo l'ambiente di google classroom e google drive, in quanto legano i voti alle performance individuali piuttosto che alle riflessioni e collaborazioni "domestiche"). 

Ciò determina un primo punto critico dell'uso didattico di G.Classroom-Drive: l'insegnante dovrebbe essere almeno pagato di più per spendere professionalità, tempo ed energia sui ragazzi, mentre l'andazzo che emerge dalla "buona scuola" è che la qualità e quantità della funzione primaria e diretta dell'insegnamento non voglia essere presa in considerazione, per andare a preferire altri fattori di carriera (progetti, funzioni ecc.)

Il secondo punto critico è che, come ho già scritto in precedenza, il dispositivo dotato di tastiera o almeno il tablet come strumento di lavoro o studio per la riflessione lenta, stanno perdendo terreno, almeno in Italia, grazie alle campagne degli smartphone e alla messaggeria. Prima, diciamo dieci anni fa, c'era almeno un computer funzionante per ogni famiglia. Se uno voleva facebook doveva riuscire ad accenderlo e togliere almeno un po' di virus. E allora c'era la speranza di usarlo un'ora alla settimana anche per studiare. Infine la connettività è ancora per troppi studenti scarsa o assente. Fatto sta che in ogni classe ci sono in media un quinto degli studenti che non hanno dispositivo idoneo e/o connessione, e ciò mina la possibilità di utilizzo "intensivo" di G.classroom.  

L'unica maniera per rimediare a queste limitazioni è fare scelte collettive a livello d'istituto, per aiutare le famiglie in vari modi. Fornire dispositivi in comodato d'uso, ampliare la disponibilità delle aule informatica in orario pomeridiano, chiarire con le famiglie che il possesso ed uso educato per lo studente di un buon tablet o net-book o chromebook e la risoluzione dei problemi domestici di connettività non costituiscono solo un "rischio" di aumentare le distrazioni e perdite di tempo dell'allievo, ma sono anche potenzialità e risorse ben sfruttate dalla politica educativa e formativa della scuola sotto forma di servizi e supporto allo studio erogati dai propri docenti. Insomma, una scuola, più di un singolo docente, può convincere un genitore che valga la pena spendere 100 euro di meno su un cellulare di ultima generazione e 100 euro di più su qualcosa di utilizzabile nello studio, in aggiunta o addirittura in sostituzione ai testi cartacei. 

Va da sé che un DS non può stimolare un simile miglioramento dell'offerta formativa se non ha docenti disposti non solo a cambiare sistema, ma anche a lavorare di più con gli stessi soldi di prima!

Questo "piccolo" problema, alla fine, se non risolto, sarà ciò che frenerà l'integrazione efficace delle tecnologie per l'educazione ed anche l'adeguamento del sistema scolastico italiano a nuovi e più efficaci metodi di insegnamento e valutazione.

giovedì 13 novembre 2014

Homo faber faber vs homo sapiens sapiens vs CICAP

Mi interessa il modo che il CICAP intende adottare per una campagna anti-pseudo-scientifica rivolta al PNL.

Ancora oggi, nella maggioranza dei corsi di laurea, specie quelli a cavallo tra scienza e tecnologia quali ingegneria, la tendenza normale della tradizione pedagogica è che le teorie siano "fornite" come "bagaglio culturale imprescindibile" per chi deve occuparsi di questioni tecniche che a tali teorie sono associate in un qualche modo, anche se a volte questa associazione è poco chiara e data per lo più per scontata. In questo modo le teorie sono "fossilizzate" e si trasmettono per tradizione e senza alcuna critica, anche quando ce ne sarebbe bisogno come nel caso della PNL. Dopodiché si passa a lavorare sulle applicazioni pratiche, che sono il vero fine di chi si prepara professionalmente, e dove entra in gioco la vera esperienza professionale di chi insegna. La teoria è giustamente dimenticata in questa seconda fase del training, la più rilevante anche in termini di tempo dedicato. Per cui si tende a perdonare la scorciatoia iniziale, tanto più quando la formazione sulle applicazioni ha risvolti estremamente utili per la società.

Il secondo aspetto, che secondo me entra in gioco in questa "campagna", è che le teorie cognitive, anche se pretendono di avere basi neuro-scientifiche, saranno sempre delle pseudo-teorie, suscettibili di critica del CICAP. Non posso dirlo con certezza per il futuro, ma certamente per quello che abbiamo oggi in circolazione in fatto di teorie cognitive, a cui sono estremamente interessato come insegnante, posso dire che siano tutte pseudo-scienze. Ogni teoria che riguarda le cosiddette scienze umane, sociologica, etologica ecc. ha oggi caratteristiche pseudo-scientifiche. Ma allora, se queste pseudoscienze dovessero "dare retta" al CICAP, come farebbero a progredire? Il fatto che siano "pseudo" non comporta automaticamente che siano inutili le applicazioni derivate.

Per far capire bene dove voglio arrivare (che non è negare la funzione del CICAP), faccio un esempio neutrale e innocuo tratto da un'applicazione pedagogica: le mappe mentali di Tony Buzan si baserebbero su una teoria di Tony Buzan degli anni 60 (era cenozoica in fatto di pseudo-scienze cognitive) che non ha alcun credito né risonanza tra i ricercatori di oggi (e in realtà nemmeno di allora). Però l'inventore della tecnica delle mappe mentali ha "dovuto" ammantare l'invenzione di conoscenze teoriche sulla specializzazione dei due emisferi per aumentare il "prestigio", così come la Roma imperiale "doveva" vantare origini nella Grecia antica. È la tecnica dell'autosuggestione dei venditori di pentole antiaderenti e materassi con memoria di forma, che il CICAP conosce bene. La stessa cosa in gran parte si può dire delle mappe concettuali di Novak basate in modo solo leggermente più trasparente sulla "pseudo-teoria" dell'apprendimento significativo di Ausubel.

La vera questione quindi è: "che cosa sta di fatto progredendo ed evolvendo?" oppure: "di cosa parliamo di fatto quando parliamo di quelle teorie?"

La risposta è semplice. Lo sviluppo delle tecniche ha una vita propria che prescinde in modo totale dalle pseudoteorie attraverso le quali le tecniche sono state originariamente giustificate. In questa evoluzione possono scaturire applicazioni utili per l'uomo, utili per la finanza, queste ultime non necessariamente benefiche per l'uomo in sé. Insomma, luci e ombre. I vari tipi di mappe, didatticamente parlando, hanno più luci che ombre. Per le pentole antiaderenti e i "materassi della NASA" c'è un bilancio tra luci e ombre.
Il PNL ha, rispetto alla iniziale (forse anche attuale) applicazione in psichiatria, uno stragrande eccesso di ombre. La teoria forse è sbagliata e da rivedere, ma la tecnica funziona eccome!!! viene utilizzata in talmente tanti casi, aventi in comune la manipolazione delle persone, che non possono esserci dubbi. Le aziende non spenderebbero i soldi che spendono in formazione dei suoi venditori se non funzionasse. Basta vedere come funziona la televisione, un notiziario, un format serale, per capire come questa tecnica per la circonvenzione delle persone sia progredita.

In conclusione, da socio CICAP, mi domando: a cosa serve in simili casi accanirsi sulla distinzione scienza - pseudoscienza?

Non possiamo mica negare che nella civiltà umana la tecnologia si sia sempre evoluta per conto proprio, e lo abbia fatto anche quando la scienza non esisteva! 

In questo caso il ruolo del CICAP e di qualunque persona saggia può essere solo critico e dialettico, non certo dicotomico.

E la società umana può essere tanto più idonea alla vita dell'uomo quanto più le scienze e insieme le pseudo-scienze insieme riescano a tenere sotto controllo lo sviluppo tecnico-legato alla finanza e quanto meno si verifichi il contrario. Come accadrebbe senza ricercatori "disinteressati", cioè interessati solo alla conoscenza e alla comprensione del mondo e dell'uomo, qualora cioè le teorie e le pseudo-teorie fossero lasciate nel dimenticatoio come fossili inutilizzati.

venerdì 5 settembre 2014

Concept change, SCIIS e giocare alle teorie scientifiche

Mentre cercavo delle fonti ancora acquistabili sul progetto SCIIS mi sono imbattuto in questo articolo di ricerca. http://files.eric.ed.gov/fulltext/ED242769.pdf 

La mia impressione generale è che le metodologie basate sulla scoperta e sui cicli di apprendimento abbiano cercato di correggere le concezioni alternative degli studenti con interventi ad hoc "dall'esterno", mentre i cambiamenti sono più spesso il risultato di adattamenti "interni" e graduali (come anche trovato da Smith e Lott). 

L'articolo è uno dei tanti che riconosce che, anche nel migliore insegnamento, questi interventi comportano una fatica immensa ma producono scarsi risultati. 

La limitazione non riguarda specificamente le metodologie costruttiviste, ma qualunque idea pedagogica che presuma di basare il suo intervento sulla conoscenza preliminare dettagliata delle cognizioni di uno specifico alunno isolatamente dal contesto sociale e indipendentemente dal livello di sviluppo delle sue strutture di generalizzazione (Vygotskij), dei sui tipi di lingua pedagogica e gesti mentali (De la Garanderie) o, in sintesi, del tipo di linguaggio e discorso interiore e della capacità del soggetto di passarlo in consapevolezza. 

Il metodo del conflitto cognitivo, ossia l'attacco diretto alle misconcezioni portato dall'esterno non è efficace perché alla sua base assume una dominanza di pensiero razionale che invece non c'è. 

La quota razionale, il pensiero per concetti "consapevole", può essere sviluppata nel periodo dell'adolescenza, ed è importante che ciò avvenga. Sviluppare un pensiero per concetti è il più importante degli obiettivi della scuola secondaria. 

Ma nel frattempo, e forse anche dopo, non sarà mai auspicabile né conveniente adottare processi o "rimedi" educativi razionali di "aggiustamento" per ottenere modificazioni stabili o "correzioni" del comportamento cognitivo su ciascuna specifica questione, su ciascuno studente, senza far nulla per modificare la quota spontanea, irrazionale ed emotiva. 

Ciascuno di noi ha un mondo mentale di raffigurazioni e idee implicite della realtà, che gestisce secondo delle abitudini cognitive che si sviluppano lungo tutta la vita, senza peraltro mai arrivare a raggiungere non dico il 100% ma neppure, probabilmente, il 50% della consapevolezza. 

La quota spontanea, dunque maggioritaria per tutta la vita, può essere modificata "volontariamente" solo prendendo atto che oltre alla logica e alla razionalità esiste in noi un cervello che procede per tentativi ed errori, un "generatore di configurazioni casuali" zombico, poco intelligente, che accelera le procedure di associazione allo scopo di determinare o percepire, innanzitutto, se l'ambiente in cui si trova l'organismo è ostile o favorevole all'omeostasi. 

Allo scopo, la prima cosa che questa parte della nostra mente cerca di evitare, è la generalizzazione, perché "lei" "sa" benissimo che i fattori di rischio sono imprevedibili e incostanti, per cui il "fiuto", la "prima impressione" e il rapido e conseguente giudizio binario, meritano sempre di essere presi in considerazione al di là di ogni logica del "pensiero lento", razionale. 

Questa è una cattiva notizia perché, ad esempio, lo studente che effettua o osserva una dimostrazione sperimentale, non generalizzerà automaticamente le evidenze ad una classe di fenomeni simili, ad un principio. E non basteranno le parole dell'insegnante a garanzia. 

D'altra parte non possiamo realizzare tutte le esperienze possibili e sovraccaricare la sua mente di tutte le evidenze possibili e in principio necessarie a "dimostrare" qualcosa. 

Quindi non dovremmo aspettarci mai, o pretendere che un problema cognitivo specifico sia risolvibile una volta per tutte e che non debbano esserci "ricadute" verso concezioni alternative pregresse, in particolare cambiando contesto o venendo meno la presenza e la mediazione dell'insegnante

(a volte lo studente deve dire una cosa scorretta, aspettarsi la negazione dell'insegnante, per poi dire la cosa giusta. Questo è un fatto normale, un esempio di come il cervello sfrutti l'interazione sociale e non preferisca a priori la logica e la scansione degli archivi della memoria, per cui qualunque metodo è adatto per arrivare a delle previsioni corrette - vedi P.C. Rivoltella - L'uomo è un animale sociale e di solito si affida ai suoi conspecifici senza temere alcunché. In altre parole, l'evoluzione non ha favorito il tipo di intelligenza necessario a superare test individuali, e la nostra società, e tanto meno il sistema educativo, dovrebbe evitare nel modo più assoluto di attribuire meriti sulla base di tali test). 

Semplicemente come insegnanti dobbiamo smettere di considerare la "ricaduta" o la dimenticanza del singolo studente come un'esperienza frustrante e dobbiamo smettere di pensare che se il nostro programma segue uno sviluppo logico, intellegibile e razionale allora automaticamente ciò lo renderà digeribile e direttamente trasmissibile senza intoppi, in modo additivo e stratificabile, come mani di vernice. 

La buona notizia è che la quota spontanea o implicita del nostro pensare è costruita socialmente e culturalmente così come quella esplicita. Questo significa che essa è influenzabile attraverso le pratiche, le interazioni, il gioco, il linguaggio dialogico tra pari. Quindi la scuola, e certi suoi progetti, hanno una ragione di esistere. 

Un'altra cattiva notizia è che in tal caso è inutile o impossibile parlare di concept change di un singolo individuo; piuttosto la cosa acquista un senso all'interno di una comunità di apprendimento. Per quanto riguarda il singolo individuo il massimo che possiamo fare è avere un approccio "probabilistico". 

Anche la costruzione delle unità didattiche deve passare da un approccio basato sulla programmazione ad uno più "live" e quindi probabilistico, anche se ciò crea dei seri problemi ai sistemi di istruzione formali basati sui syllabus. 

Le conseguenze (pratiche) di queste semplici "rivelazioni" sulla natura del pensiero umano sul come si debba educare e porsi nei confronti dell'educazione mi sembrano quasi scontate. 

In particolare si evince che ciò che conta maggiormente è la quantità di attività che viene fatta, la capacità che essa abbia di suscitare manipolazione, dibattito e ascolto reciproco e di diventare via via sempre più sofisticata, mettendo in campo sempre più aspetti sistematici e concettuali del pensiero. 

In questo senso si possono inserire marchingegni e macchine operatrici ed altri esperimenti di investigazione scientifica anche a livelli di scuola molto diversi tra loro. Come metodologia per educare il pensiero implicito e immaginativo che servirà e si svilupperà per tutta la vita.

domenica 31 agosto 2014

Cargo Cult Education

Ho finalmente ritrovato con piacere dove avevo letto della "Cargo Cult Science" di Feynman.
L'argomento costituisce l'ultimo capitolo del classico "Sta scherzando, Mr. Feynman!", da 25 anni nella mia biblioteca.

La versione in inglese del capitolo si può leggere a questa pagina, mentre in italiano in questa.

Può essere interessante leggere questo articolo di Carlo Bernardini su "La Repubblica" del 1988, tanto per domandarsi cosa sia cambiato da quei tempi "non sospetti" ad oggi.

Per quanto riguarda la "Cargo Cult Science", altri riferimenti interessanti, anche a studi antropologici che volendo potrebbero dirla lunga sulla genesi di ogni religione, si possono reperire dalla pagina di wikipedia.

Ma ciò chi mi interessa lasciare inciso in questo post è quella che ritengo essere una forte analogia tra la Cargo Cult Education e la Cargo Cult Science.

La cargo-cult education è equivalente alla trickle-down education: il sapere si trasferisce per "percolazione", da chi sa molto a chi non sa nulla, così come i teorici dell'economia liberista sostengono che l'economia dei paesi ricchi lascia sempre cadere delle briciole, sotto al tavolo, dalle quali alla fine traggono beneficio anche quelli poveri. (Il termine "trickle down" deriva dall'economia politica, ed è stato utilizzato da quel genio di Dennett come metafora del creazionismo inteso come disegno intelligente indispensabile per spiegare tutto ciò che sembra essere intelligente o competente).


In realtà, così come le canoe polinesiane non si sono evolute grazie ad un disegno tecnico pervenuto in bottiglia dal futuro, ma in base all'azione delle forze della natura che hanno interferito con l'evoluzione dei relativi memi tecnico-culturali, nell'arco di secoli, così uno studente non arriva ad un pensiero concettuale per imitazione diretta di quello sotteso alle lezioni impartite dal docente, ma bensì per tentativi ed errori.

Il punto è che i tentativi e gli errori bisogna farli. Invece la scuola è impostata in modo tale da evitarli ed esecrarli, soprattutto perché il sistema delle valutazioni è fondato sulla performance e sulla prova uguale per tutti (due idiozie che potrebbero essere facilmente superate, ma che invece si danno per scontate come garanzie di merito ed equità). Ciò si verifica inoltre perché, culturalmente e tradizionalmente parlando, le società più avanzate non sono riuscite a superare l'istruzione come apprendistato, e si ritiene più sensato immaginare l'individuo come un prodotto industriale, per il quale il rispetto di uno standard è garanzia di qualità, e per il quale non ci si possono permettere rischi, come se gli studenti di una classe fossero una partita di pomodori da trasformare in conserva.

In effetti, per la specie umana il "sapere rituale" è il primo che si impara, è un elemento di socialità, il più facile da recepire e mettere in pratica. Quindi il più facile anche da insegnare. Quello che si deve dire, o quello che si deve fare è ciò che gli altri già dicono e gli altri già fanno. È consistente in ciò che l'insegnante ti dice di dire o fare. Non è implicata alcuna consapevolezza (né per l'uno, né per l'altro, purtroppo). Di fatto queste sono le prime condizioni per la sopravvivenza di un individuo che fa parte di una specie altamente sociale, e dove il gruppo ha capacità difensive da ogni minaccia esterna ben superiori a quelle possedute dal singolo, grazie al rispetto di questi rituali. Come ammette Dennett, non occorre "comprendere" ciò che si assorbe dalla società per essere competente ai livelli "basali". La comprensione concettuale disinteressata, la filosofia e le scienze sganciate da possibili applicazioni sono un "lusso" dal punto di vista della logica dell'evoluzione puramente biologica e allo stesso modo sono considerate anche della scuola di massa.

Se non andiamo oltre questo stadio, il risultato è ciò che osserviamo nelle nostre classi tutti i giorni: gli studenti studiano per sapere cosa si deve dire o cosa si deve fare. Dicono di aver capito quando sanno cosa devono ri-dire o ri-fare. L'insegnante si trova spesso nella stessa condizione di chi deve spiegare all'isolano che i due mezzi gusci di noce di cocco messe alle orecchie e le canne di bambù non possono funzionare come cuffie e antenne e far arrivare l'aereo che paracaduta beni e vettovaglie, come racconta Feynman. Non riesce a spiegarlo, perché non si può spiegare la differenza tra comprensione concettuale e "conoscenza rituale" a chi non possiede ancora un pensiero per concetti, più di quanto non si possa far capire agli isolani che c'è qualcos'altro oltre alla forma esteriore delle cose e che non sono i riti e la magia a causare gli eventi attesi, se essi sono persuasi del contrario dall'esperienza tramandata.

L'analogia si ritrova soprattutto in ciò che può e deve essere fatto di diverso per passare dall'apprendimento delle parole rituali al pensiero concettuale - oggettivante, che conduce ad un'approccio alla conoscenza che si fonda sia sulla cultura, sia - fortemente - sull'integrità intellettuale individuale. Ci si arriva per piccoli tentativi ed errori, impossibili da programmare secondo i criteri della qualità, ma che possono verificarsi in un contesto educativo - o condizioni di governance - in cui siano dati spazio, libertà e rilevanza allo studio dei casi e ad ogni analoga forma di Inquiry Based Learning. Spazio significa che almeno il 60% del tempo deve essere dedicato a queste attività; libertà significa che la valutazione non deve dipendere dalla performance o dalla maggiore o minore abilità individuale, fattori che disincentivano chi ha più bisogno di cimentarsi, e li fa regredire al più rassicurante studio dei puri rituali. La valutazione del "profitto" deve dipendere dalla quantità e qualità dell'impegno dedicate nel prendersi in carico i casi e nel collaborare al loro studio, mentre quella formativa deve restituire la consapevolezza del saper fare qualcosa in più, "misurata" sul singolo alunno. Rilevanza, infine, significa che questo contesto di socializzazione dei "rituali" disciplinari, e di spazi e libertà per attivare tentativi ed errori funzionali a connettere parole e simboli apparentemente arbitrari con la realtà,  sia organizzato a livello di scelta pedagogica di istituto, e non di qualche sparuto insegnante. In queste condizioni solo sarà possibile che uno studente, invece di approcciare la conoscenza con il "che cosa devo saper dire su questo argomento" si interroghi su "Cos'è questa cosa, di che si tratta, cosa significa, qual è la sua essenza, che implicazioni o interrogativi comporta". 

Il fatto che i tentativi ed errori non sono ciechi, ma guidati da principi di integrità, costituisce il "succo" del metodo-non metodo educativo, ciò che può essere insegnato con l'esempio e la pratica sul lungo periodo e all'età giusta. Questi principi li estraggo ed adatto dal discorso di Feynman.

Totale onestà: per esempio, quando si arriva a conoscere qualcosa, bisogna cercare di portare anche esempi o dettagli in cui la conoscenza non sia valida, altre cause che possono portare agli stessi risultati, diversi da quelli studiati, errori possibili. Non si deve soltanto portare acqua al proprio mulino.

Autocritica: portare tutti i fatti che contraddicono un argomento, e non solo quelli che lo supportano.

Disponibilità (popperiana) alle falsificazioni: una data spiegazione o interpretazione convince gli altri, e se stessi, se oltre a dar conto del fatto su cui la abbiamo costruita, riesce a inquadrare altri fatti che non avevamo considerato e che tuttavia sono verificabili. 

Ricercare e rivelare i meccanismi, le spiegazioni efficienti: se una cosa funziona, cioè se sappiamo fare bene qualcosa, non usiamola per fare bella figura, ma cerchiamo piuttosto di spiegare il suo meccanismo, perché ci siamo riusciti, o dire candidamente che in realtà non sappiamo il perché. La magia non esiste.

Rifiuto dell'autorità precostituita: 1° non controlliamo i possibili errori solo quando i risultati si allontanano da quanto ottenuto da qualcun altro, ma facciamolo in tutti i casi. 2° non facciamo una cosa che riteniamo errata, diventando disonesti verso noi stessi, solo per accontentare chi ce la richiede. 3° facciamoci in quattro per dimostrare dove crediamo di aver sbagliato anche se qualcun altro non ritiene necessario il nostro zelo. 4° ripetiamo e sottoponiamo a nuove prove, se possibile in contesti diversi, anche ciò che ci hanno detto che andava bene.

Principio di realtà: quando i fatti si dimostrano diversi da ciò che avevamo immaginato, non cambiamo i fatti.

Applicando questi principi di integrità come guida ai nostri tentativi ed errori di comprendere il vero significato delle "parole rituali" si può diventare, chi più chi meno, chi prima chi poi, pensatori indipendenti, capaci di comprendere che un concetto non è un rituale, un modo di dire, una convenzione, ma qualcosa che ha una relazione precisa con i fatti, che possiamo anche controllare e usare a  vantaggio nostro e di tutti. 
L'istruzione secondaria non ha nessun valore, in caso contrario, qualora non riesca a realizzare questo raccordo tra concetti astratti, scientifici e simbolismi con i concetti-oggetti della vita quotidiana, e lasci immutato nello studente il rapporto con i fatti del vissuto così come direttamente generato dall'esperienza, senza mediazione alcuna (sapere esclusivamente "pratico").

Feynman include, tra le false credenze, il nostro ritenere di conoscere un buon metodo per educare (sottinteso: attraverso i nostri interventi diretti). In effetti il metodo dell'onestà totale o dell'integrità chiarisce che questo metodo in sé non esiste, e che è solo attraverso piccoli errori e correzioni autonomamente fatte (quelle che Dennett chiama "dumb happenstance" o piccole fortuite combinazioni) che un alunno riesce ad educare se stesso, e che l'insegnante sia semplicemente tenuto a determinare le opportunità per far sì che ciò accada e a favorire il suo impegno costante, facendo sì che anch'egli diventi ugualmente consapevole e preoccupato della presenza di un effettivo rapporto tra certi "termini rituali" e la realtà; non si accontenti di sapere "ciò che deve dire". Sia, cioè, intellettualmente onesto.

Pessima sarebbe una società dove i cittadini dovessero scoprire solo dopo aver ricevuto l'istruzione formale, da adulti e solo dopo aver raggiunto una condizione autonoma e pienamente responsabile, che tra le parole rituali e gli eventi del mondo reale esiste una connessione causale di tipo concettuale, ma a questo punto soltanto limitatamente ai loro interessi personali, all'esperienza derivante dalla cosiddetta "scuola della vita".
Quello che otterremmo sarebbe... la moderna società egoista occidentale, la nostra! fondata sulla scuola dei rituali o "cargo cult education", in cui prima si spera che le noci di cocco e le canne di bambù facciano arrivare ancora gli aerei e i paracadute; che i contenuti ripetuti nelle interrogazioni e nelle verifiche, senza alcuna effettiva consapevolezza dei significati, possano un giorno essere utili fuori dalla scuola. E poi si scopre che l'integrità intellettuale, faticosamente e tardivamente conquistata, non va di moda, o è addirittura punita, e deve essere accuratamente celata nel profondo della coscienza.

PS1 Non sono convinto, tanto quanto lo è Dennett, che la "conscious awareness", la comprensione profonda, il limite estremo della capacità umana di oggettivazione della realtà attraverso il pensiero scientifico, siano semplici livelli di competenza più avanzati e qualitativamente analoghi al sapersi ben lisciare il pelo di un gatto. Anche se sono certo che siano il prodotto dell'evoluzione, non mi sento di poter facilmente liquidare John Searle, come fa Dennett, (Searle sostiene una differenza di fondo tra elaborazione sintattica e semantica, e che la "sort of intelligence" e i computer siano limitati, la prima evolutivamente e i secondi come evoluzione e come incarnazione biologica, quindi incapaci di elaborazione semantica come gli umani). Credo sia necessario lavorare di più su come il linguaggio influenza profondamente la realtà in cui viviamo, nonostante ciò vada evidentemente a minare il senso dell'oggettivazione e l'idealismo scientifico di Feynman.

PS2 Credo che la Cargo Cult Science sia qualcosa di molto più comune di quanto si pensi. Se è vero che essa consiste essenzialmente nell'illusione ingenua che a determinate configurazioni superficiali siano direttamente connessi determinati effetti pratici utili, in modo puramente "additivo", senza cognizione degli effettivi meccanismi esplicativi (rapporti di "implicazione", secondo Feynman), allora questo modo di concepire la noosfera è esattamente quanto ricreato dalle tecnologie, specie quelle delle "App". Per sfuggire a questa logica e restare umani basta ricordare che la nostra intelligenza si è evoluta proprio per riuscire a creare quelle connessioni tra configurazioni del pensiero e i vari applicativi "utili" finali, che la tecnocrazia ci vuole evitare nel venderci le app e l'illusione che la vita si possa migliorare attraverso la padronanza degli strumenti tecnologici. Ricordare che se ad una scimmia diamo canna da pesca, lenza, ami, galleggianti ed esche, essa non prenderà pesci, ma al più mangerà le esche. In questo senso, non sono neppure le "augmented realities" che ci fanno conoscere meglio e più in profondità.

giovedì 12 giugno 2014

Tanto per non perdere il vizio...

Caro blog... ti ho abbandonato da parecchio, ma ora devo trovare il tempo per parlarti di questa congiunzione astrale di eventi.

Ieri, mentre con i ragazzi del quinto CH simulavamo possibili domande stimolo e risposte sugli acidi nucleici, in preparazione all'esame, è venuto fuori, non senza imbarazzo da parte mia, che nessuno, me compreso, sapeva se il doppio filamento del DNA è unico oppure no, anche laddove ci sono 46 cromosomi, cioè "grovigli" o "matasse", "superavvolgimenti" di DNA, numerati e distinti dalle forme caratteristiche, a X, a Y, ecc... In altre parole, ci sono 23 coppie di molecole separate di DNA oppure una sola, comprendente porzioni di collegamento tra un cromosoma e l'altro, invisibili al microscopio? Se così fosse, il DNA sarebbe come una collana di cromosomi, ma non mi risulta di aver mai visto una rappresentazione di questo genere. I cromosomi, sempre considerati come entità separate, si formano dalla cromatina, rendendosi visibili solo durante la riproduzione cellulare, poi si "segregano", si aprono, si duplicano, si riavvolgono separati in due antipodi e infine in due nuclei distinti ecc. Tutto ciò sembra essere più compatibile con una visione a cromosomi separati che non tutti legati in una "singola collana".

Mentre pensavo tutto questo, mentre constatavo che per i ragazzi il DNA e i cromosomi abitavano su isole lontane del Pacifico e che, come sempre, nessun problema di connessione era anche solo lontanamente ravvisato, mi rendevo conto all'istante che questo tassello della conoscenza non ce l'avevo. Era importante, eppure non ce l'avevo. E non ce l'avevo perché da nessuna parte, tra i tanti testi che nel tempo mi è capitato di leggere, questa informazione era scritta in modo esplicito, o almeno con un enfasi tale da parlare non solo di come le cose della realtà stanno, ma anche di come potrebbero stare, ma non lo fanno (e magari anche dire perché non lo fanno).

Il problema è sempre lo stesso: i libri sono scritti da scienziati che hanno il focus dell'attenzione su questioni ben più complicate, e può capitare che ne dimentichino alcune che essi conoscono da sempre, senza esserne mai stati veramente consapevoli; oppure sono scritti da insegnanti che assemblano tutte le informazioni, le "conclusioni" del sapere più importanti, con il criterio del canone dei contenuti tradizionali, in cui la connessione tra grandi blocchi, o tra "superavvolgimenti della conoscenza", ha scarsa rilevanza. L'importante è che il docente che adotta quel libro trovi "le cose che gli alunni devono sapere", all'esame di stato o ai test di ammissione dell'università.

Se potessi veramente scegliere io, almeno con i più grandi, adotterei sempre i testi del primo tipo e fonti originali, perché la probabilità che una risposta ad una domanda sia trovabile leggendo nel dettaglio e tra le righe, quando non esplicitamente fornita, è consistente. In un testo dell'altro tipo il "tessuto" è ben diverso. È la riproduzione carnevalizia della tuta protettiva del motociclista famoso, dove tutti i logo degli sponsor sono perfettamente riportati, ma dove andando a vedere la trama, per tentare di capire la robustezza e la coerenza dell'insieme, non si riesce di trovare proprio nulla di più fine.

Ma, mi si dice, non si possono adottare o usare simili testi! Perché in questi manuali: "ci sono troppe cose che non si devono fare e altre che invece 'mancano' e potrebbero essere richieste, e poi perché un testo dove occorra studiare sistematicamente e 'ritrovarsi' è fondamentale, mentre l'informazione 'distribuita' crea caoticità e disorientamento. E sopratutto perché questi testi sono troppo difficili!"

Ma difficili per chi? e cosa succede invece con quelli "facili"?

Si sta nascondendo sotto il tappeto il vero problema, cioè l'alfabetizzazione, che va di pari passo con lo sviluppo delle capacità di pensiero e che dovrebbe essere l'occupazione principale della scuola nell'età di transizione.

Chissà perché, chi fa affermazioni di questo tipo, sistematicamente imposta la lezione sul suo sapere, sul suo canone, sempre lo stesso dal primo all'ultimo anno di insegnamento, di solito lo stesso ricevuto nella sua formazione, sostanzialmente ignorando il contenuto dei libri. Anche perché deve essersi reso conto, da esperimenti di lettura in classe, che i ragazzi non comprendono tramite la lettura, nella lettura, mentre sembrano capire meglio il parlato, un linguaggio più ricco di intonazione ed espressione, meglio se semidialettale, che lo rende più facilmente recepibile e significativo. Perciò parlano, fanno lezioni frontali magistrali, si ritengono sufficientemente ricompensati dal fatto che i ragazzi riescono a ripetere brandelli di quella conoscenza fuori da ogni contesto, dal fatto che essi ripetono alcune delle loro stesse parole e da ciò, estrapolando indebitamente, deducono l'esistenza di una qualche comprensione concettuale.

Il tutto conquistato senza passare attraverso la scrittura, l'uso di segni, così difficile per quei "poveri ragazzi", con i loro zaini-poggiatesta, a proteggere i libri dall'apertura, durante le lezioni magistrali.

Quei poveri... semianalfabeti che - adesso, maggiorenni e appoggiati dagli stessi colleghi - pretendono (forse giustamente, a questo punto) che anche l'esame richieda loro di ripetere brandelli di conoscenza, e non di costruire un pensiero, di argomentare. Ragazzi per i quali, forse per il semplice fatto di esseri iscritti ad un istituto tecnico, è stato decretato tre o quattro anni prima che le loro facoltà mentali, sviluppate fino allo stadio preadolescenziale, potevano andare bene per affrontare con successo le fatiche dello studio, ed arrivare così immodificate fino all'età adulta.

Ma, tra tutte queste riflessioni che costituiscono il mio sfondo continuo, l'unica veramente emergente dal problema dei cromosomi, era solo di utilizzare l'occasione per insegnare, ancora adesso, dopo la fine dell'anno scolastico e dopo aver fallito in tre anni di inutili tentativi, ciò che veramente conta più di ogni altra cosa: insegnare la dedizione e l'umiltà per la conoscenza. E anche che il sapere è una cosa che ci si può costruire solo ponendosi domande, e non aspettandosi che ci sia qualcuno che ti riempie la testa delle "cose che dobbiamo sapere"... perciò ho ammesso il mio "non sapere", ed ho iniziato a cercare informazioni alle voci DNA e Cromosoma di Wikipedia. Dove ho trovato sempre riferimenti al singolare per "la" molecola del DNA e al plurale per "i" cromosomi delle cellule eucariote. Tutti ciò, insieme a un riferimento all'ordinamento dei cromosomi, sembrava suggerire una struttura a "collana", che in seguito ho smentito leggendo a casa, dal Lehninger (uno di quei testi scritti, almeno alle origini, da scienziati) che "ogni cromosoma contiene una sola, grande molecola di DNA a doppia catena". Nel frattempo ho lasciato i ragazzi con il dubbio e l'impegno ad approfondire, perché dalle pagine di Wikipedia e ancor meno dal loro testo, non potevano desumersi che degli "indizi", ma nessuna certezza.

Dopo di che, a casa, ho ripreso la lettura del libro "La scuola non serve a niente", di Bajani, trovando tra altre cose interessanti, questa lettera a La Repubblica di Massimo Recalcati, del 20/9/2013, e di cui riporto lo stralcio che maggiormente condivido:

"Agatone, l'allievo, si siede vicino al maestro coltivando l'illusione che il suo cervello sia un contenitore dentro il quale Socrate dovrebbe versare il liquido del suo divino sapere. È l'illusione che abita ogni scolastica dell'apprendimento. Essere un recipiente passivo che il sapere del maestro può riempire sino all'orlo. Ma Socrate si nega ad Agatone. Non accontenta la sua aspirazione ad essere "riempito". Negandosi alla domanda ingenua di Agatone - "travasa in me il tuo sapere" - Socrate cerca di mettere in movimento il suo allievo (transfert significa "trasporto", "sentirsi trasportati") distogliendolo dall'illusione che conoscere significa riempirsi passivamente il cervello di nozioni già esistenti e possedute da qualcuno. Il gesto di Socrate è controcorrente rispetto ad ogni idea scolastica del sapere ed è il motore di ogni forma di apprendimento autentico. Svuota il maestro di sapere affinché l'allievo si metta in movimento - si senta trasportato - verso il sapere, affinché nasca nell'allievo un desiderio autentico di sapere. Il gesto di Socrate è innanzitutto un gesto di sottrazione; anch'io non so quello che tu non sai, non perché sono ignorante, ma perché so che è impossibile possedere tutto il sapere, perché il sapere stesso non può mai costituire un tutto. Il compito di un insegnante è quello di generare amore, transfert erotico, sul sapere più che distribuire sapere (illusione cognitivista) o mettere tra parentesi il sapere occupandosi della vita privata degli allievi (illusione psicologista) perché l'alternativa tra la vita e il sapere è sempre sterile".

A quanto detto da Recalcati posso solo aggiungere che, "sottraendomi" costantemente, allo stesso modo, quando va bene si genera nello studente la curiosità per il mio approccio al sapere, ma mai la curiosità per il sapere in sé e, men che meno, per gli oggetti reali di cui il sapere stesso cerca di parlare, se questi oggetti non rientrano nell'esperienza quotidiana.

E purtroppo so anche il perché: agli adolescenti e pre-adolescenti interessano per istinto i comportamenti e le parole delle persone adulte, da seguire e mitizzare o da esecrare e vilipendere, senza vie di mezzo. Interessano le passioni ideali, magiche, trascendenti, e i relativi concetti, specie se questi facilitano l'aggregazione, l'identificazione nei loro gruppi sociali. È la natura evolutiva della specie umana che li ha dotati dell'istinto di saper individuare a chi conviene loro sottomettersi, perché dotato di maggior forza bruta e potere (che attenuiamo col termine "carisma", ma non coincide affatto con saggezza, professionalità, esperienza e intelligenza). Infatti i concetti degli adolescenti, più spesso pseudoconcetti, hanno funzioni simili o identiche a quelli adulti-scientifici, ma non sono usati allo stesso modo, nel ragionare: per migliorare i significati, per raggiungere una maggiore oggettività, per creare nuove connessioni nel sistema della conoscenza, per risolvere problemi. Sono utilizzati essenzialmente per entrare in una relazione sociale e comunicativa. Le questioni interpersonali e di amalgama nei gruppi sono infinitamente più importanti, e le prime da risolvere, per il corretto funzionamento delle società primitive, piuttosto che l'imparare a risolvere da soli problemi di natura scientifica o pratica, quando, nella stessa società, ci sono altri che insegneranno come risolvere. È questa la nostra eredità, che pure evolverà, ma non così, dall'oggi al domani. Perciò si ha sempre l'impressione che quando uno studente utilizza un concetto ne ha un'idea astratta, vaga, "campata per aria". In realtà i concetti gli servono solo per acquisire il linguaggio, per essere più partecipe e asservito all'adulto che a parer suo lo merita e per imparare a esercitare un potere basato sulla parola, o adeguarsi a chi lo ha assunto: ai mini-leader all'interno del suo branco, che si stanno esercitando, senza saperlo, a diventare i leader veri della società adulta, ancora simile per molti versi a quelle primitive.

Occuparsi della natura in sé del mitocondrio, o di un qualunque altro infimo frammento di materia nuda e cruda, in quanto tale, questa passione aberrante tipica dello scienziato (infatti notoriamente "asociale" e fuori dal mondo), è per loro insulso e insignificante, specialmente se il possesso della conoscenza non garantisce alcun privilegio perché non è più esclusivo dei pochi allievi di Socrate, ma alla portata anche dell'ultimo degli schiavi che vi si cimenti con passione e dedizione sufficienti. Per l'adolescente di oggi, il prof. socratico non ha mai abbastanza carisma, proprio perché non è lì per proteggere i quasi-adulti delle classi privilegiate, che hanno giustamente paura del mondo e dell'assenza di garanzie ed automatismi derivanti dal "titolo di studio", per difenderli dalla maledetta democrazia o meritocrazia e dagli schiavi che, non avendo nulla, si impegnano maggiormente e reclamano, giustamente, privilegi equivalenti. Gli adolescenti, sono evolutivamente, geneticamente e neurologicamente predisposti per cercare questo genere di protezione e garanzie in ben altri adulti di riferimento, che ai loro occhi sembrano più capaci di garantire la comoda - almeno intellettualmente parlando - posizione sdraiata, richiedendo pure meno sforzo. Le masse giovanili eterogenee, di oggi, non cercano dei Socrate che insegnino loro a ragionare sottraendosi, ma condottieri in cerca di adepti, che li seguano assumendosi le responsabilità al loro posto. La relazione Socrate-Agatone è più simile ad una relazione tra adulti-pari, caratterizzata solo da asimmetrie culturali di tipo quantitativo. Quella tra insegnante di successo e adolescenti è più simile ad una relazione generazionale, padre-figlio.

Se questa percezione della relazione è comprensibile, "naturale" dal lato studente, ci si aspetterebbe però che dal lato docente, pur sfruttando entro limiti fisiologici i vantaggi della "illusione paternalistica unilaterale", vi sia almeno una tendenza a ristabilire un dialogo pedagogico modificante, decentrato da sé, e centrato sulla capacità oggettivante e creatrice di significati del linguaggio, non sulla recitazione di formule vuote, sull'applicazione di formule cieche, utili solo a trasmettere un'idea di potere astratto della conoscenza che, per fortuna, non esiste più. Altrimenti i ragazzi non "cresceranno" mai.

E qui comincia la politica degenere della destra, qualcosa che, peggio della scuola, e anche tramite la scuola, è da sempre dedita a conservare le schematizzazioni delle società primitive e trarre vantaggi dalla legge del più forte, anziché cercare di migliorare la nostra civiltà.
Quella che sfrutta il fatto che tutta la società è, in realtà, arenata sullo stadio adolescenziale e preferisce affidarsi ai condottieri. Ecco che il personalismo politico non è più unilaterale, non è più "illusione" di paternalismo, ma mania di grandezza e di persecuzione reali, arroganza..., e da qui cominciano tutti i guai, cominciano a spuntare i "popolani" che litigano con i "populisti", ridimensionando e riducendo tutta la conquista democratica e civile al famoso detto "quando ci sono troppi galli a cantare non si fa mai giorno", sono votati i condottieri del momento, che costituiscono gradualmente la loro follia e la follia collettiva...