domenica 31 agosto 2014

Cargo Cult Education

Ho finalmente ritrovato con piacere dove avevo letto della "Cargo Cult Science" di Feynman.
L'argomento costituisce l'ultimo capitolo del classico "Sta scherzando, Mr. Feynman!", da 25 anni nella mia biblioteca.

La versione in inglese del capitolo si può leggere a questa pagina, mentre in italiano in questa.

Può essere interessante leggere questo articolo di Carlo Bernardini su "La Repubblica" del 1988, tanto per domandarsi cosa sia cambiato da quei tempi "non sospetti" ad oggi.

Per quanto riguarda la "Cargo Cult Science", altri riferimenti interessanti, anche a studi antropologici che volendo potrebbero dirla lunga sulla genesi di ogni religione, si possono reperire dalla pagina di wikipedia.

Ma ciò chi mi interessa lasciare inciso in questo post è quella che ritengo essere una forte analogia tra la Cargo Cult Education e la Cargo Cult Science.

La cargo-cult education è equivalente alla trickle-down education: il sapere si trasferisce per "percolazione", da chi sa molto a chi non sa nulla, così come i teorici dell'economia liberista sostengono che l'economia dei paesi ricchi lascia sempre cadere delle briciole, sotto al tavolo, dalle quali alla fine traggono beneficio anche quelli poveri. (Il termine "trickle down" deriva dall'economia politica, ed è stato utilizzato da quel genio di Dennett come metafora del creazionismo inteso come disegno intelligente indispensabile per spiegare tutto ciò che sembra essere intelligente o competente).


In realtà, così come le canoe polinesiane non si sono evolute grazie ad un disegno tecnico pervenuto in bottiglia dal futuro, ma in base all'azione delle forze della natura che hanno interferito con l'evoluzione dei relativi memi tecnico-culturali, nell'arco di secoli, così uno studente non arriva ad un pensiero concettuale per imitazione diretta di quello sotteso alle lezioni impartite dal docente, ma bensì per tentativi ed errori.

Il punto è che i tentativi e gli errori bisogna farli. Invece la scuola è impostata in modo tale da evitarli ed esecrarli, soprattutto perché il sistema delle valutazioni è fondato sulla performance e sulla prova uguale per tutti (due idiozie che potrebbero essere facilmente superate, ma che invece si danno per scontate come garanzie di merito ed equità). Ciò si verifica inoltre perché, culturalmente e tradizionalmente parlando, le società più avanzate non sono riuscite a superare l'istruzione come apprendistato, e si ritiene più sensato immaginare l'individuo come un prodotto industriale, per il quale il rispetto di uno standard è garanzia di qualità, e per il quale non ci si possono permettere rischi, come se gli studenti di una classe fossero una partita di pomodori da trasformare in conserva.

In effetti, per la specie umana il "sapere rituale" è il primo che si impara, è un elemento di socialità, il più facile da recepire e mettere in pratica. Quindi il più facile anche da insegnare. Quello che si deve dire, o quello che si deve fare è ciò che gli altri già dicono e gli altri già fanno. È consistente in ciò che l'insegnante ti dice di dire o fare. Non è implicata alcuna consapevolezza (né per l'uno, né per l'altro, purtroppo). Di fatto queste sono le prime condizioni per la sopravvivenza di un individuo che fa parte di una specie altamente sociale, e dove il gruppo ha capacità difensive da ogni minaccia esterna ben superiori a quelle possedute dal singolo, grazie al rispetto di questi rituali. Come ammette Dennett, non occorre "comprendere" ciò che si assorbe dalla società per essere competente ai livelli "basali". La comprensione concettuale disinteressata, la filosofia e le scienze sganciate da possibili applicazioni sono un "lusso" dal punto di vista della logica dell'evoluzione puramente biologica e allo stesso modo sono considerate anche della scuola di massa.

Se non andiamo oltre questo stadio, il risultato è ciò che osserviamo nelle nostre classi tutti i giorni: gli studenti studiano per sapere cosa si deve dire o cosa si deve fare. Dicono di aver capito quando sanno cosa devono ri-dire o ri-fare. L'insegnante si trova spesso nella stessa condizione di chi deve spiegare all'isolano che i due mezzi gusci di noce di cocco messe alle orecchie e le canne di bambù non possono funzionare come cuffie e antenne e far arrivare l'aereo che paracaduta beni e vettovaglie, come racconta Feynman. Non riesce a spiegarlo, perché non si può spiegare la differenza tra comprensione concettuale e "conoscenza rituale" a chi non possiede ancora un pensiero per concetti, più di quanto non si possa far capire agli isolani che c'è qualcos'altro oltre alla forma esteriore delle cose e che non sono i riti e la magia a causare gli eventi attesi, se essi sono persuasi del contrario dall'esperienza tramandata.

L'analogia si ritrova soprattutto in ciò che può e deve essere fatto di diverso per passare dall'apprendimento delle parole rituali al pensiero concettuale - oggettivante, che conduce ad un'approccio alla conoscenza che si fonda sia sulla cultura, sia - fortemente - sull'integrità intellettuale individuale. Ci si arriva per piccoli tentativi ed errori, impossibili da programmare secondo i criteri della qualità, ma che possono verificarsi in un contesto educativo - o condizioni di governance - in cui siano dati spazio, libertà e rilevanza allo studio dei casi e ad ogni analoga forma di Inquiry Based Learning. Spazio significa che almeno il 60% del tempo deve essere dedicato a queste attività; libertà significa che la valutazione non deve dipendere dalla performance o dalla maggiore o minore abilità individuale, fattori che disincentivano chi ha più bisogno di cimentarsi, e li fa regredire al più rassicurante studio dei puri rituali. La valutazione del "profitto" deve dipendere dalla quantità e qualità dell'impegno dedicate nel prendersi in carico i casi e nel collaborare al loro studio, mentre quella formativa deve restituire la consapevolezza del saper fare qualcosa in più, "misurata" sul singolo alunno. Rilevanza, infine, significa che questo contesto di socializzazione dei "rituali" disciplinari, e di spazi e libertà per attivare tentativi ed errori funzionali a connettere parole e simboli apparentemente arbitrari con la realtà,  sia organizzato a livello di scelta pedagogica di istituto, e non di qualche sparuto insegnante. In queste condizioni solo sarà possibile che uno studente, invece di approcciare la conoscenza con il "che cosa devo saper dire su questo argomento" si interroghi su "Cos'è questa cosa, di che si tratta, cosa significa, qual è la sua essenza, che implicazioni o interrogativi comporta". 

Il fatto che i tentativi ed errori non sono ciechi, ma guidati da principi di integrità, costituisce il "succo" del metodo-non metodo educativo, ciò che può essere insegnato con l'esempio e la pratica sul lungo periodo e all'età giusta. Questi principi li estraggo ed adatto dal discorso di Feynman.

Totale onestà: per esempio, quando si arriva a conoscere qualcosa, bisogna cercare di portare anche esempi o dettagli in cui la conoscenza non sia valida, altre cause che possono portare agli stessi risultati, diversi da quelli studiati, errori possibili. Non si deve soltanto portare acqua al proprio mulino.

Autocritica: portare tutti i fatti che contraddicono un argomento, e non solo quelli che lo supportano.

Disponibilità (popperiana) alle falsificazioni: una data spiegazione o interpretazione convince gli altri, e se stessi, se oltre a dar conto del fatto su cui la abbiamo costruita, riesce a inquadrare altri fatti che non avevamo considerato e che tuttavia sono verificabili. 

Ricercare e rivelare i meccanismi, le spiegazioni efficienti: se una cosa funziona, cioè se sappiamo fare bene qualcosa, non usiamola per fare bella figura, ma cerchiamo piuttosto di spiegare il suo meccanismo, perché ci siamo riusciti, o dire candidamente che in realtà non sappiamo il perché. La magia non esiste.

Rifiuto dell'autorità precostituita: 1° non controlliamo i possibili errori solo quando i risultati si allontanano da quanto ottenuto da qualcun altro, ma facciamolo in tutti i casi. 2° non facciamo una cosa che riteniamo errata, diventando disonesti verso noi stessi, solo per accontentare chi ce la richiede. 3° facciamoci in quattro per dimostrare dove crediamo di aver sbagliato anche se qualcun altro non ritiene necessario il nostro zelo. 4° ripetiamo e sottoponiamo a nuove prove, se possibile in contesti diversi, anche ciò che ci hanno detto che andava bene.

Principio di realtà: quando i fatti si dimostrano diversi da ciò che avevamo immaginato, non cambiamo i fatti.

Applicando questi principi di integrità come guida ai nostri tentativi ed errori di comprendere il vero significato delle "parole rituali" si può diventare, chi più chi meno, chi prima chi poi, pensatori indipendenti, capaci di comprendere che un concetto non è un rituale, un modo di dire, una convenzione, ma qualcosa che ha una relazione precisa con i fatti, che possiamo anche controllare e usare a  vantaggio nostro e di tutti. 
L'istruzione secondaria non ha nessun valore, in caso contrario, qualora non riesca a realizzare questo raccordo tra concetti astratti, scientifici e simbolismi con i concetti-oggetti della vita quotidiana, e lasci immutato nello studente il rapporto con i fatti del vissuto così come direttamente generato dall'esperienza, senza mediazione alcuna (sapere esclusivamente "pratico").

Feynman include, tra le false credenze, il nostro ritenere di conoscere un buon metodo per educare (sottinteso: attraverso i nostri interventi diretti). In effetti il metodo dell'onestà totale o dell'integrità chiarisce che questo metodo in sé non esiste, e che è solo attraverso piccoli errori e correzioni autonomamente fatte (quelle che Dennett chiama "dumb happenstance" o piccole fortuite combinazioni) che un alunno riesce ad educare se stesso, e che l'insegnante sia semplicemente tenuto a determinare le opportunità per far sì che ciò accada e a favorire il suo impegno costante, facendo sì che anch'egli diventi ugualmente consapevole e preoccupato della presenza di un effettivo rapporto tra certi "termini rituali" e la realtà; non si accontenti di sapere "ciò che deve dire". Sia, cioè, intellettualmente onesto.

Pessima sarebbe una società dove i cittadini dovessero scoprire solo dopo aver ricevuto l'istruzione formale, da adulti e solo dopo aver raggiunto una condizione autonoma e pienamente responsabile, che tra le parole rituali e gli eventi del mondo reale esiste una connessione causale di tipo concettuale, ma a questo punto soltanto limitatamente ai loro interessi personali, all'esperienza derivante dalla cosiddetta "scuola della vita".
Quello che otterremmo sarebbe... la moderna società egoista occidentale, la nostra! fondata sulla scuola dei rituali o "cargo cult education", in cui prima si spera che le noci di cocco e le canne di bambù facciano arrivare ancora gli aerei e i paracadute; che i contenuti ripetuti nelle interrogazioni e nelle verifiche, senza alcuna effettiva consapevolezza dei significati, possano un giorno essere utili fuori dalla scuola. E poi si scopre che l'integrità intellettuale, faticosamente e tardivamente conquistata, non va di moda, o è addirittura punita, e deve essere accuratamente celata nel profondo della coscienza.

PS1 Non sono convinto, tanto quanto lo è Dennett, che la "conscious awareness", la comprensione profonda, il limite estremo della capacità umana di oggettivazione della realtà attraverso il pensiero scientifico, siano semplici livelli di competenza più avanzati e qualitativamente analoghi al sapersi ben lisciare il pelo di un gatto. Anche se sono certo che siano il prodotto dell'evoluzione, non mi sento di poter facilmente liquidare John Searle, come fa Dennett, (Searle sostiene una differenza di fondo tra elaborazione sintattica e semantica, e che la "sort of intelligence" e i computer siano limitati, la prima evolutivamente e i secondi come evoluzione e come incarnazione biologica, quindi incapaci di elaborazione semantica come gli umani). Credo sia necessario lavorare di più su come il linguaggio influenza profondamente la realtà in cui viviamo, nonostante ciò vada evidentemente a minare il senso dell'oggettivazione e l'idealismo scientifico di Feynman.

PS2 Credo che la Cargo Cult Science sia qualcosa di molto più comune di quanto si pensi. Se è vero che essa consiste essenzialmente nell'illusione ingenua che a determinate configurazioni superficiali siano direttamente connessi determinati effetti pratici utili, in modo puramente "additivo", senza cognizione degli effettivi meccanismi esplicativi (rapporti di "implicazione", secondo Feynman), allora questo modo di concepire la noosfera è esattamente quanto ricreato dalle tecnologie, specie quelle delle "App". Per sfuggire a questa logica e restare umani basta ricordare che la nostra intelligenza si è evoluta proprio per riuscire a creare quelle connessioni tra configurazioni del pensiero e i vari applicativi "utili" finali, che la tecnocrazia ci vuole evitare nel venderci le app e l'illusione che la vita si possa migliorare attraverso la padronanza degli strumenti tecnologici. Ricordare che se ad una scimmia diamo canna da pesca, lenza, ami, galleggianti ed esche, essa non prenderà pesci, ma al più mangerà le esche. In questo senso, non sono neppure le "augmented realities" che ci fanno conoscere meglio e più in profondità.