mercoledì 1 agosto 2012

Risposta a "Togliamo il Disturbo" di P. Mastrocola

Destinatari: Paola Mastrocola, A.Lalomia, Giorgio Israel.

Per fortuna ho abbandonato l'idea di scrivere un "libro risposta" a Togliamo il Disturbo. Quella fu la prima reazione al malumore che mi ero portato dentro a lungo, dopo la lettura di quel libro e dei convincimenti esageratamente pessimistici, delle concezioni "fataliste" e anti-pedagogiche dell'autrice che, purtroppo, trovano tanti sostenitori tra i miei colleghi.

Così non solo ho evitato di perdere tempo in un'impresa senza speranza, ma ho anche trovato a casa mia, già scritto e pluripubblicato, il libro risposta perfetto, che avevo iniziato a leggere per la parte scientifica, ma non terminato nei capitoli conclusivi dove le risposte sono elaborate.

La mia risposta è "benvenuti nella nuova scuola", il titolo del libro che avrei voluto scrivere, ma è Margaret Donaldson a darla, con un bellissimo saggio-studio scritto moltissimi anni fa: Come Ragionano i Bambini, Springer-Italia 2010 (originale Children's Minds, University of Edimburgh, UK, 1978) . Un'opera elogiata nientemeno che da J. Bruner, ma che è sempre stata misconosciuta, nonostante due traduzioni ed edizioni in italiano.
Margaret Donaldson va alla questione centrale su cui si interroga Mastrocola: 

"La scuola, per quanto bene possa cominciare, si trasforma oggi in un'esperienza infelice per molti bambini e [che] c'è la massima urgenza di fare qualcosa per cambiare la situazione" (prime pagine e poi p.91).

Ma M.D. si interroga con competenza di psicologa evolutiva, di pedagoga, di ricercatrice e con visione positiva nonostante - a differenza di Mastrocola - ella comprenda appieno la natura del problema, indicando anche gli orientamenti generali, se non la "soluzione".

Stralcio alcuni brani dall'ultimo capitolo, augurandomi che i destinatari vogliano appurarne le solide ragioni con la lettura dei capitoli precedenti. 
Scrive M.D., a continuazione della citazione precedente (i grassetti sono miei):

"L'esperienza [educativa] oggi diventa infelice soprattutto perché è penoso essere costretti a fare una cosa in cui si continua a fallire. Spesso i bambini più grandi non soddisfano con successo le aspettative della scuola e sanno di essere liquidati come stupidi, per quanto energicamente possano tentare di difendersi da questa consapevolezza. 'Di solito ci si interessa alle cose in cui si riesce bene', per citare la semplice constatazione di Bruner su una verità fondamentale. Ecco perché tanti dei nostri ragazzi diventano sempre più annoiati e demoralizzati. 
Una direzione che sembra offrire una via d'uscita, come abbiamo visto, è che la scuola non insista a formulare le richieste che creano il problema. Se ci atteniamo a questo principio, per un certo periodo i bambini sono in grado di mostrare un comportamento abbastanza felice - e così lo scontento si manifesta spesso soltanto negli ultimi anni di scuola, quando le richieste della società in generale, riguardo all'alfabetizzazione, il far di conto, la comprensione delle scienze, e via dicendo, non possono più essere ignorate o negate.
Poiché queste richieste sorgono da considerazioni di valore sociale profondamente radicate, non sarà facile cambiarle. L'utilità pratica delle abilità intellettuali non è l'unica cosa coinvolta nei giudizi di valore, ma sarebbe sufficiente in se stessa. Che ci piaccia o meno, noi abbiamo bisogno di tali abilità e, collettivamente, lo sappiamo bene.
Il problema, allora, è se dobbiamo accettare come inevitabile il fatto che solo una piccola minoranza di persone possa svilupparsi intellettualmente fino a raggiungere un alto livello di competenza. Io credo che non dobbiamo accettarlo [qui Mastrocola si avvia nella direzione opposta]. Io credo che la natura della considerevole difficoltà che queste abilità rappresentano per la mente umana non sia stata adeguatamente riconosciuta [ma il suo libro le disamina e riconosce]. Pur sapendo da tanto tempo che il 'pensiero astratto' è difficile, ci è mancata una comprensione sufficientemente chiara - ed estesa - di ciò che comporta muoversi oltre i confini del senso comune [human sense] e imparare a manipolare il nostro stesso pensiero secondo nuovi modi svincolati [disembedded, inteso più o meno nel senso di 'formale'], liberi dai precedenti coinvolgimenti [involvements, precedenti qui col valorie di concreti, esperenziali], che al tempo stesso sostengono e ostacolano. Credo anche che, una volta che abbiamo riconosciuto queste cose, saremo in grado di aiutare tanti bambini a diventare capaci di pensare in maniera adeguata secondo queste nuove modalità, se scegliamo di farlo;..."

E a proposito del concetto di aiuto, sconosciuto nella scuola del "dono", del "grato sacrificio e passione allo studio" innati, M.D. scrive - (risolvendo la controversia lavoro intellettuale/manuale):

"Nella vita di un bambino, la gioia dell'immediato coinvolgimento del corpo in un'attività qualificata si manifesta presto e spontaneamente. Come abbiamo già visto non è una gioia priva di pensiero, ma non è riflessiva. Il successivo esercizio delle attività riflessive può anch'esso dare gioia - ma si tratta di una gioia che non si presenta da sola, senza aiuti. Più diventeremo esperti nel dare l'aiuto necessario per suscitarla, meno sentiremo il bisogno di ricorrere alla tecnica della Satira dei Mestieri come mezzo per far impegnare persone riluttanti in un duro lavoro accademico.
Perciò, se alla fine diventeremo davvero abili nell'aiutare un gran numero di persone a conoscere la soddisfazione intellettuale, avremo maggiore libertà di volgerci verso lo sviluppo di potenziali umani di altro genere. Allora non dovrebbe essere troppo difficile - né troppo pericoloso - ripristinare il lavoro manuale. E il probabile risultato sarebbe una vasta manifestazione di energia creativa."

La nostra missione e funzione, in una scuola inclusiva di massa, è esattamente di aiutare tutti a conoscere la soddisfazione intellettuale, riconoscendo gli errori dell'esposizione prematura ad apprendimenti forzosi di saperi formali, inconsapevoli, senza significato e generatori, essi sì, di differenze insanabili tra diversi studenti, cambiando la scuola per adattarla a ciò che sappiamo oggi sulla psicologia dell'età evolutiva. Il nostro compito non è, invece, l'essere propensi a lamentarci del modo di essere, di fare e vestire di giovani alquanto "distratti" e inconsapevoli, e proporre per i "meno dotati" percorsi d'istruzione diversificati con ridotto accesso al pensiero astratto, considerando, ancora nel terzo millennio, la testa dello studente come una specie di scatola nera sede di eventi predestinati da accogliere con naturalezza nelle arti e mestieri piuttosto che con rassegnazione o delusione. 

Il sistema che compie errori deve riconoscere i suoi errori, e a quel punto le reazioni di non contrastare le cosiddette "doti naturali", o  di mostrare rassegnazione e delusione, diventano simmetricamente ed equivalentemente insensate.

Il punto di vista del professore di liceo che al tempo stesso disconosce la ricerca della psicologia educativa e si lamenta dei "prodotti in arrivo" è limitato, incapace costituzionalmente di vedere un percorso educativo lungo una linea ontogenetica. 
Il punto di vista di M.D. che invece conosce tutte le fasi dello sviluppo e l'importanza dell'istruzione nel determinare le forme dell'intelligenza, della coscienza di sé, della coscienza, dell'autostima, e che specialmente riconosce gli errori che si fanno nel periodo preadolescenziale e adolescenziale, è il punto di vista più adatto per erigersi a proporre cosa cambiare nel sistema educativo. A conferma di ciò così conclude M.D.:

"... se non avremo la buona volontà di tentare e di continuare a tentare, alla luce delle conoscenze raggiunte, di aiutare i nostri bambini a soddisfare le richieste che imponiamo loro, allora non dovremo chiamarli stupidi. Dovremmo piuttosto definire noi stessi indifferenti o paurosi."

Io aggiungerei: incompetenti.

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