lunedì 28 giugno 2010

L'orale all'esame di stato e la crisi del pensiero produttivo

Concetti, nozioni o processi: cosa vogliamo, sappiamo, dovremmo verificare - accertare?

Basta assitere ad uno o due esami orali per rendersi conto che, tesina a parte, le domande sono riconducibili al "vediamo se sai...", o: "vediamo cosa mi sai dire su..." e: "cosa significa..". o: "perché la tale cosa..."

In pratica agli esami si chiede ciò che lo studente potrebbe non sapere, come in una specie di interrogatorio, in cui si indaghi sulla qualità e quantità della "preparazione" individuale.
Esiste un'alternativa più giusta e più ricca di informazioni utili: chiedere ciò che egli sa in quanto frutto di un suo lavoro personale. Purtroppo questo non può essere fatto ora, senza un tempo di preparazione di due o tre anni, senza aver scelto di dare all'istruzione e ai nostri studenti un'altra impronta.

Gli studenti si bloccano, all'orale, perché non sanno "quella" cosa, più spesso perché non comprendono cosa viene loro esattamente richiesto in quel momento (l'idea che sta nella mente dell'esaminatore) o perché ciò che è stato richiesto è noto all'esaminando solo sotto altri punti di vista.
Insomma lo studente deve adattare "se stesso" a ciò che viene richiesto dall'esaminatore, il quale deve solo accertare il grado di rispondenza e, nei casi peggiori, il grado di "lontananza" dello studente da sé, dalla materia che egli rappresenta.
D'altra parte in un esame orale non si potrebbe profilare un rapporto di avvicinamento dell'esaminatore al pensiero dello studente nel senso di interazione e mediazione finalizzata a modificare le conoscenze del candidato (come accade normalmente nelle verifiche formative, durante l'anno scolastico). Quando ciò si verifica all'esame, serve solo a sottolineare l'inadeguatezza della preparazione dello studente.

Le critiche

Questo tipo di esame orale è profondamente sbagliato e rivelatore del malfunzionamento dell'istruzione.
Esso tende a verificare la sovrapponibilità della preparazione con un syllabus convenzionale che si dà per condiviso e universale.
In realtà non esiste tale syllabus universale e non si può pretendere (anche se ci trovassimo in un sistema scolastico di vecchio stampo) che debba essere condiviso.

La domanda del tipo: "vediamo cosa mi sai dire su..." è meno restrittiva e minacciosa di "vediamo se conosci...", ma comporta implicitamente un errore: "l'argomento che ti richiedo è della massima importanza; ciò che tu mi dirai dovrà essere il più possibile rispettoso del sapere universalmente stabilito su questo argomento". Insomma: "con ciò che dirai dovrai mortificare il meno possibile la conoscenza ufficiale esistente su questo argomento e la mia funzione qui è di controllare che tu lo faccia."
L'errore (la critica) non ha a che fare, come si potrebbe pensare, con il giogo imposto dal confronto col sapere ufficiale. Piuttosto il fatto che non conti ciò che lo studente è capace di produrre (o è stato capace di produrre in passato), in prima persona, intorno o relativamente a un tema, ma ciò che egli è in grado di riprodurre di quanto acquisito dalle fonti.

Se invece chiediamo "cosa è l'entalpia" o "cosa significa..." o "perché mettiamo qualche cosa in uno strumento", significa che vogliamo accertare la comprensione semantica, concettuale, e funzionale di alcuni termini e oggetti che riteniamo giustamente fondamentali in una disciplina e, altrettanto giustamente, determinanti per la formazione di una valutazione. Ma facciamo ciò soltanto per una percentuale infima del "bagaglio" disciplinare, per cui la cosa non ha molto senso rispetto all'obiettivo valutativo. D'altra parte l'obiettivo di verificare la comprensione degli elementi fondamentali di una disciplina potrebbe essere facilmente, uniformemente e validamente raggiuno con appositi test (e/o ci aspettiamo che sia stata già ampiamente valutata durante il triennio: perché non fidarsi, per questo, di quanto già fatto dalla scuola? Solo la scuola può essere garante delle valutazioni che ha elaborato; o preferiamo siano dei commissari-ispettori a controllare l'operato delle scuole?)

Che cosa succederebbe se un candidato o un docente esterno alla commissione ponesse una domanda qualsiasi all'esaminatore sulla materia comune? Possiamo essere certi che non avremmo mai situazioni imbarazzanti analoghe a quelle in cui si trova il candidato? Quanto le conoscenze di due docenti, anzi, due cultori della stessa materia, sono fedelmente sovrapponibili?

Infine: cosa rimane, nella cultura del candidato, di quanto preparato appositamente in funzione dell'esame, tre mesi o tre anni dopo l'esame?

Immagino che molti vorranno respingere queste critiche sia perché esse includono praticamente tutto ciò che normalmente si fa all'orale, sia perché non si ha esperienza alcuna di possibili conduzioni alternative dell'esame stesso.

Perciò suggerisco di rimandare la reazione istintiva di eccepire alle critiche, a dopo la lettura del seguente scenario d'esame - altrettanto naturale - tramite il quale spero di chiare le modalità alternative, il loro scopo, e le implicazioni a monte nell'istruzione.

L'allievo X è impegnato nel colloquio orale della materia Y, col prof. Z.
Dimmi X, qui vedo nel tuo portfolio questa tua applicazione sull'argomento Y' da te svolta in quarto e poi perfezionato in quinto. Potresti raccontarmi che cosa hai scoperto su questo argomento-ricerca-approfondimento, e come? attraverso quali fonti e quali esperienze personali? Magari potresti dirmi poi perché ti sei avvicinato ad esso e, infine, quali concetti della disciplina Y sono entrati in gioco e in che modo?
La stessa cosa poi si ripete con altri docenti in altre materie.
La commissione si riunisce per valutare il grado di padronanza, autenticità delle applicazioni descritte, dei processi e capacità di argomentazioni che lo studente è in grado di attuare, assistita dai commissari interni che conoscono meglio la storia dell'alunno e, in base a tali evidenze, stabilisce in che grado lo studente è divenuto "cultore" della disciplina e quanto strutturate/marginali siano le competenze utilizzate rispetto ai nuclei disciplinari in ciò che egli ha prodotto (anche se non autonomamente), ma è in grado di padroneggiare individualmente.

Ritengo che tale tipo di esame sia molto più indicatore dello spessore culturale di un alunno, che sia capace di fornire il giusto rilievo agli esiti veramente importanti, e non valutabili nelle prove scritte, di un lungo percorso di istruzione; riconoscendo i processi di accesso alla e fruizione della conoscenza che l'allievo ha costruito con adeguato training durante gli anni di scuola; approccio alla conoscenza ed abilità di processo che saranno, queste, importanti per tutta la vita.
Ritengo che questo tipo di esame sia anche facile da realizzare, con studenti aventi normali capacità, che però sarebbero resi differenti dagli attuali, da tutta la necessaria preparazione precedente.

La preparazione precedente
  1. In ogni materia del triennio ogni studente dovrebbe produrre una o due applicazioni-approfondimenti-studi di casi ecc., per ogni anno, ed eventualmente due in quarta e due in quinta.
  2. Questi lavori potrebbero essere svolti anche in collaborazione con altri studenti della stessa classe, o anche di classi diverse.
  3. I lavori potrebbero avere un utilizzo immediato come ad esempio progettazione di attività di laboratorio o opere da realizzare nella didattica coinvolgendo la classe.
  4. I lavori dovrebbero originarsi da problematiche o stimoli interni alla disciplina, e sia i docenti, sia gli studenti dovrebbero essere vigili e propensi a proporre e individuare sviluppi del materiale curriculare partendo dagli stimoli sempre presenti nelle discipline e nelle loro applicazioni (ciò sia per il rispetto stesso delle discipline insegnate e del loro valore culturale).
  5. I lavori sarebbero obbligatori e nel portfolio sarebbe riportata la cronologia della loro realizzazione e la valutazione.
  6. La valutazione dovrebbe esprimere il grado di coinvolgimento e revisione personale, basata sui rilievi dei pari, dell'insegnante e personali, l'attinenza disciplinare e una volta completato, di padronanza espositiva (la capacità dell'allievo di argomentare quanto da egli stesso presentato). La valutazione dovrebbe essere espressa, su ciascuno di questi parametri, su una scala a tre valori, di cui il primo e secondo sarebbero accettabili e il terzo indichirebbe l'insufficienza.
Ovviamente lo studente saprebbe che all'esame di stato il suo portfolio sarebbe esaminato e in parte richiesto oralmente, permettendogli una valutazione complessiva fino 30 punti, cioè più di quelli ottenibili con il credito scolastico.

A cosa potrebbe servire tutto ciò?
1. riportare la curiosità tra i banchi di scuola;
2. introdurre una componente di personalizzazione nell'istruzione;
3. abituare gli studenti a produrre, piuttosto che sempre riprodurre;
4. fornire a tutti l'opportunità di fare la conoscenza con la comprensione profonda, almeno su alcuni argomenti disciplinari o correlati alle discipline;
5. rivalutare il valore di riferimento culturale e strumentale delle discipline, aventi esistenza indipendente da quanto proposto da un singolo insegnante e da un singolo manuale (opponendosi alla tendenza a identificare la materia con l'insegnante o, nella migliore delle ipotesi, con il libro di testo scolastico);
6. responsabilizzare gli studenti nei confronti dello studio come progetto di sviluppo personalizzato.

Le implicazioni per i docenti e la scuola
L'insegnamento delle discipline dovrebbe maggiormente focalizzarsi sulle basi costitutive, sui linguaggi e sui loro significati, per permettere l'accesso basilare a tutti.
Le applicazioni rispetto all'attuale dovrebbero essere limitate per consentire lo sviluppo dei lavori personalizzati (a differenza delle cosiddette tesine e progetti extracurriculari, che si vanno a sommare al lavoro dello studente, finendo spesso con l'interferire e per l'essere realizzabili in modo completo solo per una parte degli studenti).
La capacità di composizione del testo scritto, della lettura con comprensione dovrebbero essere esercitate in tutte le materie, compresa la matematica, e non solo in Italiano.

1 commento:

Alfredo Tifi ha detto...

commento me stesso! L'obbligatorietà delle applicazioni disciplinari di cui parlo nel punto 5 comporta, come tutte le obbligatorietà introdotte in un sistema che ha già trovato un suo equilibrio, un rischio gattopardesco di "ottemperamenti formali" secondo il principio del minimo intaccamento dello status quo, con l'unica conseguenza di ulteriori carichi di inutili lavori di copiatura per gli studenti da sommare ai compiti di un programma sostanzialmente invariato. L'obbligo da solo, se non saggiamente e strategicamente veicolato e motivato "dall'alto", non basterebbe mai a far capire a chi non vuole sentire da quell'orecchio, ai docenti e agli stessi studenti, ciò che si chiede realmente loro: ai secondi che diventino "piccoli" cultori della disciplina, cioè che siano interesati a ciò che fanno, che facciano un uso quasi-esperto della disciplina per almeno un'applicazione, così tanto per provare che anche dalla scuola si può ricavare qualche appagamento; ai primi che diventino almeno "medi cultori" della disciplina che insegnano, che siano in grado di avere e comunicare passione per essa, che creino lo spazio libero e la dedizione necessarie, nell'organizzazione della didattica, affinché la realizzazione dei lavori personalizzati degli studenti sia agevole, guidata ma libera, senza alcun sovraccarico, e affinché siano ben chiari e condivisi da entrambi lo scopo da raggiungere e il ri-disegno dei ruoli che ciò richiede.