giovedì 23 marzo 2023

 Ancora matematica!!!

In risposta a questo articolo su Tecnica della Scuola il 23 marzo 2023: 

matematica-gli-studenti-la-odiano-colpa-dei-docenti-che-la-insegnano-male-gli-esperti-contro-i-prof-fissati-su-procedure-e-formule-da-imparare-a-memoria?

Sappiamo bene che il problema non è la memoria e nemmeno la mancanza di relazione con la realtà. Almeno non nel caso in cui - a partire dall'ambito didattico della matematica - si inventano i problemi ad hoc come pretesti per poter mettere in atto qualche procedura matematica. Così come ai più piccoli nei "problemini" si inseriscono "paroline chiave" per suggerire facendo finta di non farlo, l'operazione. 

Il vero problema è quello della proceduralità senza senso e della mancata ricerca di significato concettuale, come si legge abbia detto Rosetta Zan e più dettagliatamente da come riportato dal'intervento di Samuele Antonini dell’Università di Firenze. 

Io avrei da aggiungere un paio di cosette. 

Primo, avendo seguito ragazzi del liceo, vedo che la proceduralità (forse sarebbe più corretto chiamarlo approccio algoritmico, in cui tecniche e simboli sostituiscono il senso di ciò che si fa e il perché, come accade per un automa) è un "pozzo di potenziale" seducente in cui docente e alunno cadono insieme, in un rapporto di complicità. E la ragione principale è che a livello di verifiche questo approccio sembra per entrambi più rassicurante. E i nodi vengono al pettine proprio quando la matematica non sarà più semplicemente da "applicare" seguendo esercizi applicativi e ripetitivi. Ma richiederà una piena comprensione e anche esplorazione creativa di alternative di senso nell'interfaccia tra la realtà e le matematiche possibili. E questo mi conduce alla mia seconda affermazione, che scaturisce più da vicino dalla mia esperienza di docente di una scienza "dura" (in quanto ricca di aspetti di modellizzazione matematica). La matematizzazione del reale, o modellizzazione matematica è secondo me un approccio alternativo rispetto alla "applicazione". Quando i ragazzi devono risolvere un problema applicativo così come viene solitamente presentato in matematica, essi capiscono istantaneamente che l'obiettivo è una data procedura da applicare e quasi non leggono il senso della situazione reale. Qualora le cose siano diverse e la procedura non sia facilmente riconoscibile, i ragazi non sanno da dove cominciare e/o commettono errori di impostazione. Anche quando il problema è di chimica generale, chimica-fisica, tecnologie chimiche, chimica analitica, la comprensione situazionale del problema avrebbe in teoria un ruolo preminente. Come spesso mi tocca dire "non scrivete nulla finché non avete chiarito che cosa succede e il contesto in termini descrittivi, qualitativi; sospendete anche la lettura della domanda specifica". Perché è in questa fase che sono riconosciuti i concetti pertinenti. Ma la mentalità della didattica matematica ha invaso anche la prassi e i testi di chimica. Salvo poche eccezioni si leggono testi di problemi in cui mancano indicazioni decisive su vincoli e condizioni che devono essere assunte in base al fatto che in loro assenza il problema non potrebbe essere risolto. Eppure magicamente i ragazzi individuano la procedura da seguire semplicemente perché è così che hanno imparato a fare. Se chiedo il perché non me lo sanno spiegare, segno che effettuano calcoli senza sapere come questi sono connessi alla situazione e a determinate ipotesi di lavoro. Se è stata adottata una approssimazione, per loro è una cosa che "si deve" fare, non una che "si può fare se...". L'approccio alternativo, oserei dire, anche per apprendere la stessa matematica, è appunto quello in cui non si applica la matematica del programma, ma si lavora alla matematizzazione per risolvere problemi reali e la matematica si adatta a partire dalle conoscenze matematiche spontanee, le uniche veramente padroneggiate dagli studenti. A partire da lì si può anche costruire una matematica più efficiente e più sensata (la ricerca educativa ha individuato processi come il "folding back" per farlo). In chimica tolgo il condizionale, perché questa è l'unica maniera per non oscurare i concetti chimici. Se io dico qualcosa del genere ai prof. di chimica e di matematica mi sento rispondere che "ma così complichi e crei confusione".

Ma non sarà che la realtà è complicata, come ha affermato Zan, e non ha senso semplificarla solo per creare esercizi di matematica e mettere voti e "misurare" il "merito"? 

Alla radice di tutto c'è infatti l'approccio valutativo che gli insegnanti per primi non vogliono mettere in discussione e che impedisce che a scuola si conosca una "complessità amica" e, forse, che gli stessi insegnanti si appassionino alla vera scienza che dovrebbero veicolare invece di quella addomesticata che insegnano. 

La cosa più triste è che il testing algoritmico addomesticato (senza parlare delle "crocette") ha invaso pure l'università! Esamificio e stipendificio.

venerdì 22 luglio 2022

Lettera a un collega sulla libertà di insegnamento complicato

È molto tempo che non metto qualcosa nel mio blog. Lo faccio ora per farlo sentire meno solo e abbandonato.

Caro L.

mi fa piacere di leggerti e ti assicuro che comprendo bene la tua condizione rispetto alle classi, ai risultati ecc. per essermi spesso trovato nella stessa condizione e non solo, e di essermi sentito a volte come costretto a utilizzare strumenti pedagogici "oppositivi" spuntati che la scuola ti mette a disposizione per compensare i ritmi penalizzanti che in qualche modo ti impone, e di cui mi parli: verifiche, voti, genitori, minacce, note, ecc. Che più si scende in basso e più raggiungono l'effetto contrario a quello desiderato o, almeno, a quello a cui dovremmo tendere. 

D'altra parte sia per carattere sia per scelta razionale ho sempre rifiutato gli strumenti della seduzione, pensando che ognuno debba sempre essere lasciato in condizione di scegliere autonomamente, cosa che almeno a partire dal terzo anno mi ha condotto a successi parziali. Ma diversa la situazione al biennio, dove negli anni la presunzione è aumentata in proporzione inversa alla responsabilità individuale. Ciò che resta possibile sono dei tentativi pressoché inutili di usare il voto, anziché come "arma", come strumento per aiutare a far passare messaggi che riguardano la serietà, il coinvolgimento, l'amor proprio, la curiosità e l'associata bellezza del conoscere. 

Non rimane allora che spendersi nel cercare di "reinventarsi" la materia per mostrare che essa è comprensibile e in modo da far capire che quello che fai per "umanizzarla" (ma non banalizzarla) è anche un adattamento alle domande che possono venire facilmente dagli studenti che volta per volta hai. Diciamo che è una forma di seduzione più "onesta".

Questa strategia ha perlomeno il vantaggio che costituisce uno stimolo continuo a ri-comprendere, approfondire e capire e perfino scoprire cose nuove e quindi "sopravvivere" negli anni. Non capisco quelli che dicono "alla fine la chimica è sempre la stessa" (affermazione generalizzabile alla fisica, alla matematica ecc.), anche se ne intravedo le conseguenze pratiche. Piuttosto ho la certezza che studiare e progettare lezioni, verifiche, lavori di gruppo, avendo in mente un dialogo e un progetto con gli studenti sia il modo migliore per imparare qualsiasi cosa. Che trovarsi a dover insegnare una cosa sia il modo migliore per capirla, come sosteneva Alex Johnstone (vedi ad esempio qui https://michaelseery.com/alex-johnstones-10-educational-commandments/ il decimo comandamento), non vale solo per gli alunni, ma anche per gli insegnanti. Una "tecnica" che uso anche adesso che non ho più interazioni dirette con i ragazzi, per forza dell'abitudine.

La mia esperienza con il lato studente, invece, vedeva questo trovarsi sistematicamente di fronte a un bivio: da una parte la direzione più frequentemente scelta di aderire a un altro tipo di adattamento e semplificazione, una "seduzione poco onesta", quella che presenta la materia come una serie di procedure e asserzioni semplici e chiare da riprodurre, applicare ciecamente, dove ogni cosa è o giusta o sbagliata, dove non esistono dubbi da risolvere e problematizzazioni, contesti diversificati e significati da costruire. Per la maggioranza dei ragazzi questo approccio "assertivo", addestrativo e restitutivo è considerato più rassicurante: lo studio è una questione meccanica, di quantità, di applicazione di tecniche prefissate, non di coinvolgimento personale, costruzione critica e autonoma (ma anche sociale, verbalizzata e consensuale) di significati. È evidente che sia proprio questa la scelta che consente di utilizzare e anzi induce a manipolare i simboli e le "formule" come oggetti tal quali prescindendo dai loro significati, dai loro perché e relative giustificazioni nei contesti. 

Ciò peraltro riguarda essenzialmente le materie scientifiche, specie quelle "dure", che perciò diventano automaticamente meno rilevanti e alla moda rispetto al comparto umanistico (a parte quelli che amano la chimica perché sanno fare il i "sudoku" del bilanciamento delle equazioni di reazione - senza saper nulla della realtà di quelle reazioni - ancora, dunque una pura tecnica procedurale senza senso). Hai voglia a lamentarsi che in Italia lo STEM e le scienze siano considerate difficili, insignificanti e quindi non alla moda (hai presente la volpe e l'uva?) 

Ed è ancora per questo che la matematica diventa automaticamente suprematista anche senza "volerlo" essere: proprio perché viene direttamente infusa nella chimica e nella fisica per tutti gli aspetti quantitativi senza far sì che gli studenti si possano rendere conto che il processo di matematizzazione è concettuale; nel senso che necessariamente si deve prima far uso dei concetti fisici e chimici e, solo una volta chiariti i significati dei simboli negli specifici contesti, la pura tecnica matematica potrà andar via liscia. Se quel che uno farà, poi, avrà per lui o lei un senso, ciò dipenderà non dalla correttezza delle azioni matematiche che farà, ma dall'aver chiara l'interfaccia concreta tra rappresentazioni simboliche e contesti concreti + concetti disciplinari a forte componente quantitativa. Quindi si lascia credere agli studenti che, a parte una maggiore varietà di simboli, la "matematica della matematica" sia la medesima che entra in gioco nelle relazioni tra le misure e i modelli della fisica o della chimica. 

Se poi si aggiunge che l'insegnamento stesso della matematica è in media metodologicamente di tipo più procedurale e tecnico-addestrativo che non concettualmente problematizzante, è evidente che si insinui nella mente dei ragazzi che la chiave della sicurezza sia nel seguire procedure rigorose ed univoche e non nel ragionare sulle molteplici possibilità e con la propria testa. 

Il paradosso è che questa convinzione è pervasiva nonostante i risultati, gli insuccessi e le insufficienze in matematica mostrino costantemente e in tutto lo stivale che si tratta di un atteggiamento mentale tutt'altro che sicuro e capace di garantire il successo. È evidente che lo stesso atteggiamento mentale interessi in ugual misura anche gli insegnanti, altrimenti non si giustificherebbe il persistere della situazione cronica. 

A questa scelta predominante, per lo più inconsapevole, secondo cui la chiarezza risiederebbe nella prescrittività del da farsi e non nel risultato dell'attivarsi proattivo per chiedersi e comprendere i perché, sfuggono solo due categorie di studenti che si rendono conto che possono facilmente controllare e avvantaggiarsi di proposte pedagogiche dove almeno alcuni aspetti delle discipline sono costruiti attraverso dubbi, domande, problematizzazioni, partendo da contesti concreti: 1. quelli che sono già un po' più maturi, autonomi e capaci e che perciò riescono a gestire anche proposte antagoniste contemporaneamente da insegnamenti diversi, e 2. alcuni tra quelli, "burnt out" dello studio quantitativo e restitutivo che però scorgono più possibilità di comprensione concettuale qualitativa, sentendosi più liberi di usare il loro intuito e discernimento, e altre "scorciatoie" che richiedono solo un po' di coinvolgimento personale; che ricevono da tutto ciò maggiori conferme e sicurezza. 

Si tratta, anche sommando i due gruppetti, quasi sempre di minoranze risicate. 

Ma nonostante le grosse difficoltà ho sempre cercato di far capire i vantaggi del metodo basato sul pensiero e la riflessione e avuto conferme che l'approccio fosse accessibile ad un'ampia maggioranza, per cui ho sempre mantenuto la barra dritta, ignorato alunni (o i loro genitori) che avevano 3 o 4 in matematica, o quelli che avevano 8 ma per fare 1/2 + 1/4 dovevano fare il minimo comun denominatore con carta e penna, quando entrambi sostenevano che fosse la mia materia, dove "toccava" sapere il senso delle cose che si facevano, a essere difficile. Così come ho cambiato scuola quando ciò mi era precluso. 
È difficile far capire a un docente che il senso racchiuso in una procedura tecnica non sempre si trasmette nella testa di chi attua quella procedura. Se poi ci si attende che questi significati siano generalizzati il 'non sempre' può essere tradotto in 'mai'. Ad entrambi i docenti e alunni mancano esperienze di verbalizzazione, problematizzazione, narrazione. Col risultato che ciò che essi possono dire per giustificare ciò che essi fanno consiste essenzialmente nel ripetere ciò che essi hanno fatto. Si crea una situazione di stallo in cui entrambi si convincono che tutto ciò è "logico" e non occorra ragionare su altro. E finisce così che l'insegnamento scientifico è puro addestramento e non ha più nulla di formativo.
Talmente difficile che conviene rinunciarvi e tenersi la nomina di insegnante complicato. 
Spero per te che rimani nella bolgia, che esista ancora questa libertà di "insegnamento complicato", e che ti sia ancora possibile ritagliartela alla faccia del ptof, delle mille burocrazie, e dei colleghi che non si fanno o non scorgono alcun problema. E se ti capitasse in futuro uno dei tanti dirigenti che semplicemente non vogliono avere problemi con voti difformi scaturiti da obiettivi e metodi difformi, aggiusta preventivamente i voti e fallo contento. Se riesci a far lavorare intensamente i ragazzi, i voti puoi perfino inventarteli. A lui/lei dirigente d'azienda non interessa altro. Non vale la pena perderci tempo e non farti schiacciare.

martedì 16 novembre 2021

Rinunciare ai voti non basta

Solo dopo essere uscito dalla scuola ho trovato nella "colleganza" un parziale conforto su qualcosa che ho sempre pensato e nonostante i contesti in genere poco favorevoli, e realizzato nell'unico modo possibile, come descrivo sotto.
Il collega a cui debbo questa quasi esauriente analisi sul trascurato problema del voto è Fabrizio Gambassi: Meglio senza voti, ma come?. Suggerisco di leggere tuttoe con calma.

Insomma, il re (il voto) è nudo. Ne condivido purtroppo anche le conclusioni a pag. 29. Queste in effetti giustificano quello che ho fatto io, l'unica cosa fattibile. Fare una scuola, una didattica, un curriculum flessibile nelle ristrettezze del mio ambito, con i miei studenti, declassando il coto a semplice formalità, mentre tutto intorno mi remava contro.
La questione che però Gambassi inizia appena a sfiorare è quella dell'interesse come maggiore spinta motivazionale intrinseca. 
L'assenza di voto non fa sì che gli studenti studino cose che non interessano loro. 
Lui dice giustamente che tutto dovrebbe cambiare in una scuola senza voti (il che non significa senza valutazione). Ma gli studenti sono tanti, quindi se devi insegnare le fondamenta di una disciplina a chi ha interessi molto collaterali o a quelli che non sanno neppure se ne hanno alcuni e passano i giorni a trascinarsi nel loro branco come unica risposta al bisogno identitario, non ce la potrai fare mai. A meno di non ricorrere ai fascinismi erotici alla Recalcati, trucchi che tra l'altro, conoscendo i ragazzi, possono valere solo per un insegnante capobranco per volta. E gli altri meno erotici? Sono destinati a fare gli sfigati in questa logica. Non insegneremo mai nulla agli adolescenti blandendoli con queste tecniche, ossia illudendoli che rimarranno per sempre nel loro mondo adolescenziale protetti da un leader adulto (che poi diventerà Beppe Grillo, la Meloni o Salvini) Specialmente col biennio occorre un certo grado di costrizione, inevitabile, non necessariamente da ottenere con i voti. C'è la possibilità ad esempio di valutare l'impegno e comunicare in maniera egualmente sintetica tale impegno ai genitori. Si troveranno sempre uno - due alunni oppositivi a priori nella classe. Ma il problema non va risolto con strumenti di seduzione o altre falsità. L'importante è che riguardi una minoranza di studenti e che siano essi stessi a vedersela con i propri genitori e da essi riportati al dovere. Perché una scuola senza voti non è una scuola senza doveri verso se stessi e verso gli altri. Ma la scuola non è la fonte primaria di educazione al senso del dovere. Viene al massimo al quarto posto. Tornando alla componente di costrizione, su cui Gambassi evita di impantanarsi, c'è da dire che proprio la tendenza a dedicarsi ad un dovere anche se non di interesse centrale, o del tutto marginale, fa parte della costruzione di un'immagine di sé e quindi, specialmente in un sistema che non penalizzi gli sforzi dei meno dotati, come quello con i voti, ho sempre visto che nella maggioranza dei casi gli sforzi e gli impegni considerati fattibili erano mantenuti, apparentemente a prescindere dall'interesse (sempre che non ci fossero interferenze esterne e qualcuno che remava contro). Inoltre non è tanto l'interesse che occorre intercettare, ma piuttosto la libertà di generazione di interesse correlato all'argomento che può essere coltivata, costruita, propugnata dallo stesso docente. L'interesse "erotico" è quello che si allontana dal pregiudizio, piuttosto comune, del "portatore di "interessi precostituiti" e quindi "di parte". L'unico curriculo flessibile possibile è quello costruito all'impronta settimana per settimana da ogni docente. Quello in cui qualsiasi punto può essere raggiunto partendo da qualsiasi altro punto. Chiaramente questo riesce molto meglio in assenza di premi e punizioni e soprattutto man mano che i ragazzi maturano nel periodo adolescenziale, sentondosi via via più accettati nel gruppo classe nonostante le loro diversità. Si creano affiatamento e affetto reciproco, con l'insegnante che fa da collante, non con l'erotismo del teatrante narcisista, ma del lavorare duramente per creare il lavoro da fre e della ancora più dura fatica che serve per ascoltare, considerare, studiare e valorizzare i lavori fatti, dando feedback mirati senza creare frustrazione.

Eliminare i voti non basta, ma va fatto assolutamente. Il vuoto da essi lasciato si riempirà facilmente e la professionalità del docente si adeguerà di conseguenza.

lunedì 29 luglio 2019

Lotta Comunista e guerra per la supremazia nell'auto elettrica

Due balde giovani universitarie suonano per propormi l'acquisto e la lettura del numero di maggio di Lotta Comunista. Sono curioso e lo prendo. Faccio qualche indagine sulle loro origini. Chissà se anche loro le fanno o aderiscono semplicemente al movimento religioso e dogmatico. Magari se ricapitano avrò piacere di parlarne.

Dalla pagina di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Lotta_Comunista leggo

"far sì che una quota non indifferente di classe operaia europea, in un futuro prossimo, possa trovare nel partito leninista un riferimento e una guida per affrontare quei giganteschi sconvolgimenti" cui il capitalismo, secondo le tesi di Lotta Comunista, sta portando a livello mondiale. Il capitalismo, sempre secondo le tesi di Lotta Comunista riprese direttamente da Marx, è "incapace di mantenere un ordine mondiale."

Dipende da cosa si intende con ordine mondiale. Non può essere un tipo di ordine che impedisca o ostacoli il cambiamento.

Allora occorre fare attenzione a distinguere lo sconvolgimento dal cambiamento regolato e controllato, ma comunque di origine spontanea. Un conflitto armato, indipendentemente se serva per la ridefinizione dei mercati o meno, è uno sconvolgimento. Come lo è quello causato in Grecia: un intero popolo è divenuto inconsapevolmente una risorsa da saccheggiare per breve tempo, e poi da buttare in pattumiera quando non c'era più nulla da spremere. Se dovevano esserci problemi di compatibilità con l'ingresso della Grecia in Europa, questi dovevano essere considerati prima, prevedendo un processo reversibile o una prova di adattamento, di almeno una decina di anni, ma i problemi sono stati volutamente ignorati, perché i tempi per fare affari, invece, sono brevi. Che poi i problemi di incompatibilità del tessuto socio-economico, che nel bene e nel male ha una stabilità almeno ventennale, diventano veramente tali solo dal punto di vista dei gruppi di potere che individuano la nuova preda, e solo nel momento che si mette fretta ai processi di integrazione di quel paese.
Sono sconvolgimenti quelli che forzano il principio di autodeterminazione dei popoli, quelli che entrano nell'intimo delle tradizioni e delle culture, o del semplice status quo facendo azione di propaganda e destabilizzazione in nome di potenziali guadagni (sempre di qualcuno e mai di tutti). Camuffando queste azioni con pretesti vari: portare libertà, democrazia, benessere ecc., promesse che poi non si mantengono, se non altro perché non erano nei piani effettivi. Ma poi, anche se si volesse realizzare i progetti dichiarati, non si riesce perché si tratta di progetti astratti, che non tengono conto che ogni popolo è quello che è perché ha la sua storia e le sue modalità di quasi-stabilità che rigettano tentativi di interventi esterni.
Perciò è uno sconvolgimento la fuga di 2 - 4 milioni di persone dal Venezuela

Ma non si può parlare di "sconvolgimento" quando si tratta di passare all'auto elettrica (vedi mensile di maggio 2019 di "lotta comunista", articolo di Franco Palumberi a pag. 13). https://drive.google.com/file/d/0B_krSWRlFIfPeFp6cGJKbmswU3A2Y1otUmtISlVVT3VaLUlN/view?usp=sharing (url abbreviata http://tiny.cc/vf7eaz, ma chissà quanto dura)

Né si tratta di un cambiamento finalizzato a "rivoluzionare gli strumenti di produzione", a "sovvertire le produzioni" e "scuotere" le condizioni sociali unicamente al fine di generare "insicurezza".
Il desiderio di realizzare affari vantaggiosi va di pari passo - almeno in questo caso - con un'istanza di miglioramento del funzionamento e della sostenibilità della società.

Non esiste la lotta di classe e la possibilità o anche la sola opportunità che siano i "proletari" a decidere cosa fare: se anche potessero, probabilmente deciderebbero per lo status quo, mentre è nell'interesse generale che questo "angolo" del progresso vada avanti.

Quello che serve è l'indirizzo, l'incentivo e il controllo governativo e pubblico dei processi di cambiamento. Questo è diverso dal "capitalismo di stato". Le tre funzioni di governo possono ad esempio essere sovranazionali, auspicabilmente.

È questa l'unica cosa che può opporsi all'interesse cieco del privato.

L'esempio dell'auto elettrica è importante perché l'interesse cieco del privato in questo caso è controproducente per i proprietari stessi.

Come messo in evidenza nell'articolo i proprietari avrebbero tutto da guadagnare se la rete di distribuzione fosse a responsabilità e a forte compartecipazione pubblica. Le problematiche di accesso alle informazioni possono essere facilmente ovviate e controllate da idonei regolamenti. Il problema della rete elettrica che potrebbe sia impossessarsi di informazioni utili e acquisire il controllo delle produzione delle compagnie automobilistiche ai propri fini è un altro caso in cui la competizione stessa ostacola un progresso necessario. Ma è un problema generato dal fatto, logicamente inspiegabile, che si è voluta cedere la rete pubblica elettrica ai privati, quando nessuno di questi privati è in grado di produrre e trasportare l'energia stessa ma, al massimo, di pagare di meno dei lavoratori per abbassare la tariffa di pochi centesimi e romperci l'anima con le promozioni. Cui prodest? Tutto ciò che è "capillare" non può che essere unitario e pubblico al 100%, inclusa la responsabilità dei processi di cambiamento (L'esperienza con Telecom nelle comunicazioni e quella delle autostrade ci hanno insegnato qualcosa su come le aziende partecipate portino alla reciproca deresponsabilizzazione e all'incapacità di fare piani per il futuro, oltre che a gestire malamente il presente, con quindici anni di ritardo nello sviluppo della fibra ottica).

Il controllo e l'indirizzo governativo è il primo punto di garanzia di cui si dovrebbe occupare la sinistra democratica moderna.

Nel caso dello sviluppo dell'autotrazione elettrica, visto che l'innovazione deve andare ben oltre il chiuso della singola azienda, occorre puntare sulla massima condivisione, cooperazione e uniformazione rinunciando ad un po' di competizione inutile, e della connessa prospettiva di supremazia nella leadership (vedi dichiarazione EdF a fine articolo). Mentre per la parte sociale, occorre accettare che i governi chiedano e destinino le tasse per questo piano di massima distribuzione del lavoro, in un'ottica che può ben essere di riprofessionalizzazione.
Per esempio l'adeguamento delle stazioni di servizio tradizionali e già esistenti, coprendole di pannelli fotovoltaici con adeguati incentivi pubblici permetterebbe sia di produrre corrente continua, la più idonea per la ricarica, sia di fungere da volano per la rete pubblica e sia, per l'indotto che si creerebbe, di compensare socialmente il problema della "somma non zero" della riconversione nel suo complesso. Tutto questo può essere realizzato fin d'ora. Anzi, fin da ieri: diciamo fin dall'insediamento del governo e del ministero dei lavori pubblici, che doveva essere ambientalista e progressista.

La "ricarica veloce", in realtà ancora un mito che i privati propagandano come una cosa già fatta (con le Tesla che prendono fuoco), può essere realizzata con una tecnologia molto semplice: aprendo il comparto modulare e sostituendo i moduli scarichi con quelli carichi nelle stazioni di servizio. E facendo sì che si consumino uno alla volta durante il moto. Lo stock di batterie cariche dei distributori sarebbe propizio sia alle ragioni strategiche del sistema V2G sia a quelle del sistema Ionity.
In Cina esistono già delle stazioni di ricarica che fanno ciò in modo automatico.
https://www.esquire.com/it/lifestyle/auto-e-motori/a24266149/auto-elettriche-cambio-batterie-nio/

Dobbiamo passare dall'era delle contese tra Paperone e Rockerduck a quella di una prospettiva di lungo raggio e ampia consapevolezza condivisa tra tutte le sfere dei lavoratori e della politica, fino ad una responsabilità governativa "continentale" per tutte le grandi scelte o rivoluzioni della produzione, come questa.

D'altra parte non sarebbe una bella cosa se la classe lavoratrice dovesse entare in lotta, senza essere in grado di distinguere amici e nemici, ogni volta che una persona è indotta (o anche incentivata) ad una riconversione. Il rifiuto della riconversione e dello sviluppo comporta stagnazione culturale e, in definitiva, degrado. Non era questo che era nato e iniziato a realizzarsi con l'Ottobre 1917 e l'esplosione e liberalizzazione culturale dei primi, autentici soviet.

sabato 8 giugno 2019

La vita di Quora

giovedì 8 marzo 2018

L'età del capitano

Spesso nei buoni gruppi dei social si trovano stimoli interessanti. Ma quello che segue mi porta a considerazioni generali difficilmente contestabili, alla luce di tutte le evidenze possibili.

Scrive Loredana il 7 marzo sul gruppo FB ESPERIENZE DIDATTICHE A28/A50 ex A059/A060
«Buonasera. Ho una seconda "speciale" (lo dice anche la psicologa). stiamo facendo L estrazione di radice. In classe sono 19. Oggi 5 assenti. Gli altri 14 hanno provato tutti, TUTTI, a dare una risposta a questo problema : un pastore ha 225 pecore e le porta al pascolo per 10 giorni di seguito. Il pastore ha cominciato a lavorare all età di 16 anni. Quanti anni ha ora il pastore ? 
Tra le risposte:
225 anni
Radice di 225 è 15. Per cui 15 più 16 fa 31 anni
Radice di 16 è 4 per
 cui 4 per 10 fa 40 anni
Si fa 16 anni più 1 pecora al giorno
Radice di 225 più radice di 16 più 10.
Eccetera eccetera
Dopo aver spiegato che era un problema senza senso, una mi ha detto: ma ora ci dice quanti anni ha il pastore ?
A voi è mai capitata una situazione così ? Avete mai provato a dare problemi senza senso ??
»


Seguono immediatamente esempi analoghi, tra cui, sopra tutti, il problema dell'età del capitano. Nel relativo blog l'analisi della problematica mi pare perfettamente centrata, e sebbene non pretenda di andare oltre il settore didattico della matematica è in realtà perfettamente generalizzabile alla vacuità di senso di tutta la scuola.

Nella mia risposta (qui leggermente modificata) analizzo la genesi del fenomeno nel quotidiano e giungo ad una conclusione generale che si ricollega al caso di una studentessa quattordicenne molto brava e capace che sta cercando di rimediare ad anni di uso della calcolatrice, forzato da una diagnosi errata di dislessia, che ha annullato in lei il senso di quantità numerica e la capacità di elaborazione mentale. Memore anche dei tantissimi "normali" e non medicalizzati che però non hanno ugualmente gli stumenti essenziali per valutare la quantità numerica (rapporti, frazioni decimali, significato concreto dei numeri decimali) e capacità di calcolo mentale.

«Speciale o no, BISOGNA dare problemi senza senso, oppure anche CON senso in cui però ci sia ridondanza di dati e informazioni (e in questo caso potendo risolvere il problema simile con semplici operazioni ma senza le radici quadrate che si stanno insegnando) perché, come evidente anche in questa esperienza, esiste una tendenza naturale (umana) ad applicare automatismi senza dare senso ad ogni dato ed operazione tra dati. Affinché gli studenti apprendano ad apprendere la notizia più importante: che il senso, alle cose, glielo devono dare loro. Ogni volta che si insegna una tecnica nuova occorre portarsi dietro il (buon) senso di tutte le tecniche precedenti che, nel frattempo, dovrebbero esser diventate 'sensate', ossia applicate e applicabili per scelta consapevole ai più diversi contesti. Il fatto che invece si pratichi un insegnamento addestrativo a strati, sempre concentrato al 90-99% sul nuovo e finalizzato alla prossima verifica performativa, fa sì che arrivati alla secondaria si avranno i risultati che si hanno: incapacità più completa di leggere un problema anche più che elementare, contestualizzare e dare senso ai dati, immaginare azioni concrete prima che formali con tali dati e, da parte della didattica, evitare nel modo più assoluto i problemi autentici, vari, inediti, anche perché viste le carenze acquisite nel problem solving, tali problemi sarebbero inapplicabili in un sistema di valutazione prevalentemente "premiale" dell'efficienza tecnica, sistema non formativo ma basato sull'efficienza performativa, dunque disinteressato all'analisi metacognitiva dei processi. 

Rendiamoci conto, insegnanti di tutti gli ordini e gradi, che la scuola, anche con le classi e gli alunni "normali" procede di fatto attraverso "misure compensative e dispensative" indotte dal vuoto formativo del sistema di valutazione prima ancora che dalla medicalizzazione, e tende a trasformare tutti gli alunni in DSA!»

domenica 7 gennaio 2018

tempo proprio

Veramente ben fatto questo video. Mi riferisco in particolare alla parte in cui la ragazza simula la luce che si riflette tra due specchi, luce vista sia nel proprio sistema di riferimento posto su un carrello mobile, sia da un sistema in moto relativo.

Non è la prima volta che mi immergo nei paradossi apparenti della relatività speciale. Nel video ci sono dei presupposti impliciti esclusi con intelligenza, in modo da ridurre la complessità e non lasciare vie di scampo allo spettatore. Ma non sono trucchi! Grazie a questa impostazione l'intuizione riesce a lavorare più facilmente. Nel mio caso, per esempio, che da sempre mi interrogo sulla natura della luce, ho capito questo: la luce è un fenomeno con un "tempo proprio". Questo tempo è assoluto, non relativo. La luce e gli altri fenomeni avvengono con un tempo proprio e "non sanno" o non sono "interessati a sapere" come sono "visti", nel tempo e nello spazio, da altri osservatori. Accadono secondo il "proprio tempo proprio". E se esiste questo tempo proprio, esso deve essere "scandito" in modo identico almeno in tutti i sistemi inerziali (se rimaniamo nel quadro della relatività ristretta). Vedremo che questa non è un banalità.

PARTE UNO

La riflessione della luce tra due specchi fissi (anche abbastanza distanti a rivelare sperimentalmente ogni riflessione reale come un evento distinto così come nella simulazione) è cioè un fenomeno caratterizzato da un proprio tempo universale, lo stesso indipendentemente dal moto del sistema, così come ogni altro tipo di fenomeno ha un proprio "ritmo locale", compreso il cosiddetto "orologio biologico". Ecco l'argomento a supporto di questa "intuizione".

Quando un osservatore è in moto rispetto ai due specchi paralleli, osserva gli eventi di riflessione in posizioni diverse della stessa coordinata perpendicolare all'asse di riflessione e parallela alla linea del moto. Se lui "sa" che sta osservando lo stesso fenomeno che osserva l'osservatore solidale con i due specchi, allora conosce anche la "vera" distanza h tra i due specchi e per questo come distanza d può benissimo non usare la linea a forma di w, visualizzata nel video, ma bensì tale distanza h nota a priori; e dato che il tempo (relativo) tra n riflessioni misurato dal suo orologio (orologio identico a quello dell'altro osservatore) è oggettivamente e sperimentalmente maggiore del tempo "proprio" misurato dall'osservatore solidale con gli specchi, può tenere conto del fatto che l'allungamento della distanza della forma a w sia un artefatto del moto relativo e, pertanto, può ben concludere che la luce da lui osservata viaggi ad una velocità inferiore a c. Infatti, quando diciamo che sperimentalmente "la velocità della luce è la stessa indipendentemente dal moto dell'osservatore" (affermazione che non si può discutere, in quanto dimostrata sperimentalmente in tutti i modi possibili) stiamo anche dicendo che la luce impiega lo stesso tempo a percorrere una stessa distanza, dove la distanza deve essere misurata in riferimento ad un oggetto in quiete nel sistema dell'osservatore. Dunque rimane il fatto empirico e non discutibile che -indipendentemente dalla distanza percorsa dal raggio - l'osservatore in moto relativo che usa il proprio orologio trova un intervallo di tempo compreso tra n riflessioni maggiorato rispetto al tempo proprio tra gli stessi n eventi separati dallo stesso numero di riflessioni.

La questione dunque è sul senso di considerare "stesso fenomeno" quello osservato da due osservatori in moto reciproco, sul legame stesso tra le parole osservazione e fenomeno. Se leghiamo l'idea di fenomeno a quella di osservazione, i due osservatori possono anche convincersi di osservare fenomeni diversi. Nel video si contempla invece la possibilità di essere certi di osservare lo stesso fenomeno: ad esempio la prima e la quinta di cinque riflessioni che formano la w.

Se assumiamo che il fenomeno osservato da entrambi sia lo stesso (perché ci siamo messi prima d'accordo sui dettagli, con l'altro osservatore) allora dobbiamo convenire che le nostre osservazioni (sulla durata temporale o sulla velocità della luce)  non concordano nella stessa misura che se stessimo osservando un diverso fenomeno: quello in cui due specchi paralleli sono fermi nel mio e nel suo sistema, di riferimento, e che al via mi "sparo" con un razzo ad una velocità poco inferiore a quella della luce nella direzione -x, e dove ciò che calcolo, conoscendo il tempo di n riflessioni misurato col mio orologio sulla distanza della luce che osservo avere la forma di w , è una velocità pari esattamente alla velocità della luce (esattamente come prima). Ciò che non è possibile è lo stabilire chi si muove e chi sta fermo. Non ha senso in fisica. Ma ha senso che un 'osservatore "sappia" di essere solidale con gli specchi (assenza di moto relativo) e veda il fenomeno della luce riflettersi su e giù formando un percorso ad I, mentre l'altro "sappia" di essere in moto relativo rispetto a due specchi (a distanza h l'uno dall'altro), nel vedere il percorso a w, lungo il quale la luce si muoverà alla stessa velocità c per una distanza più lunga e per un tempo maggiore.

Non c'è nessuna incoerenza perché il fenomeno fisico in oggetto, la 'propagazione della luce', si manifesta identicamente per due sistemi inerziali in moto reciproco, tale che sia impossibile stabilire in modo assoluto se uno sia o meno in moto rispetto all'altro, e tale che sia impossibile stabilire qualcosa come una "velocità assoluta" rispetto ad un riferimento universale. Insomma si comprende l'inesistenza di un riferimento universale per il moto (tipo lo spazio assoluto di Newton o l'etere luminifero immobile di Maxwell). Questo è il "postulato di relatività" di Einstein.

Questo postulato non impedisce però di considerare privilegiato - nel descrivere il fenomeno 'riflessione tra due specchi' - il sistema di riferimento formato dai due specchi -. Infatti il tempo impiegato a compiere n riflessioni è per esso oggettivamente minore che se misurato da qualunque altro sistema di riferimento (privilegio che non genera incongruenza). Ecco perché l'intervallo di tempo tra eventi in assenza di moto relativo rispetto agli eventi di un fenomeno, o "tempo proprio del fenomeno" è privilegiato e, soprattutto, fa parte della realtà fisica. Esiste.


PARTE DUE
Questo modo di vedere non è più banale quando si considera un osservatore solidale con un "muone".

A. Nella parte precedente ho considerato l'orologio della ragazza come un orologio ordinario, diverso dai due specchi tra i quali si rifletteva la luce (nel video generando "tic" e "tac"), ma uguale per ritmo a quello dell'altro osservatore in moto relativo rispetto a lei. In realtà quello, "l'orologio a luce", è l'orologio più adatto per misurare il "tempo proprio" in un sistema di riferimento. Se i due specchi paralleli sono a mezzo secondo luce (150000 km) l'uno dall'altro, esso batte il secondo.

B. Nell'esperimento del video non era implicata la contrazione della lunghezza di "Lorentz-Fitzgerald". La linea dell'ipotenusa \ con cui la w inizia è formata da due cateti: uno, verticale, dato dalla distanza h tra i due specchi e l'altro, oruzzontale, dalla distanza nella direzione +x percorsa dal carrello della ragazza che porta con sé l'orologio  a luce durante il tempo tra due riflessioni successive (mezzo secondo se i due specchi sono separati da 150000 km). Se la ragazza nel video avesse specificato la sua velocità relativa v avremmo potuto calcolare tale cateto orizzontale (che l'altro osservatore considera "apparente") come v·t'. Dall'applicazione del teorema di Pitagora avremmo un'ipotenusa di l² = h² v²·t'². Sappiamo che per la ragazza l'ipotenusa è una linea verticale e che la luce impiega mezzo secondo a percorrerla (t₀ = 0,5 s) ma, in termini generali, abbiamo: h=c·t₀; sostituendo nell'equazione precedente otteniamo:
l² = c²·t₀²  v²·t'² 
Ora, per l'altro osservatore in moto relativo, in base ai dati sperimentali che supportano la teoria di Einstein, il tempo t' dovrà essere tale che egli trovi come velocità della luce il valore c sulla lunghezza l, ossia t' = l/c o l = c·t'. Sostituendo l² =·t'² nell'equazione precedente, isolando t'² e facendo la radice quadrata troviamo t' = t₀/√(1-v²/c²), l'equazione della dilatazione del tempo che appare fugacemente nel video. Questo risultato, corretto nel quadro della relatività speciale, è stato trovato senza assumere alcuna contrazione delle lunghezze nella direzione x. Questo è comprensibile, poiché tra due eventi successivi di riflessione non c'è alcuna distanza lungo l'asse x, e avendo i due eventi successivi la stessa coordinata x non si può contrarre una lunghezza nulla. Il cateto orizzontale di lunghezza v·t' = h·v/c·(1-v²/c²)⁻¹ è interamente apparente e dovuto al moto relativo rispetto al sistema in cui il fenomeno si verifica (senza alcun moto relativo), tanto che, da questa relazione, l'osservatore in moto potrebbe ricavare la propria velocità v relativa al sistema con l'orologio a luce che gli passa davanti. Ma è grazie a questo allungamento apparente che si genera un percorso apparentemente più lungo (la w) che la luce percorre in un tempo realmente più lungo dal punto di vista dell'osservatore in moto relativo, propagandosi in tal sistema alla velocità universale c. Tutto bene quel che finisce bene... ma c'è un ma: nel far ciò ho introdotto una asimmetria tra relatività del tempo e quella dello spazio che nella teoria della relatività non c'è. Consideriamo allora il caso del muone che raggiunge la superficie della terra prima di decadere grazie alla dilatazione del tempo (dal punto di vista degli osservatori terrestri) o grazie all'accorciamento dell'atmosfera cioè della lunghezza (dal proprio punto di vista).

C. Il raggio gamma colpisce qualche nucleo della stratosfera e nella collisione genera il "nostro" "muone medio" diretto lungo la perpendicolare al suolo terrestre a velocità relativistica (0,9992 c) a 15 km di quota. Il muone ha con sé l'orologio a luce; appena lanciato è visto dal passeggero di una mongolfiera posta a quella quota, a cui ricambia il saluto. La luce nell'orologio del muone si riflette nella direzione perpendicolare a quella del moto, pertanto il passeggero della mongolfiera, che ha con sé un orologio a luce identico, vede la luce percorrere alla velocità c una linea a zig-zag verso il basso, avente la distanza apparente data dalla somma di tante ipotenusa quanti sono gli eventi di riflessione nell'orologio a luce del muone. Fin qui, infatti, non è cambiato nulla rispetto alla simulazione della ragazza del video, tranne il fatto che ora il moto relativo è verticale anziché orizzontale.
La somma dei cateti verticali, dal punto di vista dell'osservatore nella mongolfiera, deve essere 15 km.

Ma lo stesso osservatore dovrà contare un numero di eventi di riflessione, tra quota 15 km e quota zero (sull'orologio altrui), pari a quelle contate dal muone! Lo stesso "n" per entrambi gli osservatori, se essi stanno osservando gli stessi eventi, dunque due! Non è importante qui il fatto che i due osservatori non concordino nella collocazione spaziale e temporale degli eventi (i due tic), ma interessa il loro numero, su cui devono essere per forza d'accordo perché stanno osservando gli stessi eventi, sebbene lo stiano facendo da due sistemi di riferimento differenti. 

Quando il muone medio sarà rilevato dal detector sulla superficie terrestre, saranno passati (per l'osservatore solidale con essa) 55 microsecondi (questa volta la distanza tra gli specchi è un milione di volte minore: 150 metri: le migliaia di chilometri diventano metri e l'intervallo tra due tic un microsecondo). Quindi l'orologio a luce dell'osservatore sulla mongolfiera avrà ticchettato 55 volte, mentre quello del muone 2 sole volte. Gli rimarrà un decimo della propria vita media per fare un resoconto del viaggio allo scienziato terrestre che lavora al detector, e per salutarlo un attimo prima di disintergrarsi felicemente, dando alla luce ad un elettrone e a due neutrini: uno maschio ed uno femmina.

Ora, durante i suoi 2 microsecondi di vita "attiva", il muone vedrà la terra muoversi verso di lui alla velocità 0,9982c, per cui calcolerà di essere attraversato da uno spessore di atmosfera di 0,9992 · 300 m/μs · 2 μs = 600 metri.

Torniamo al punto di vista del passeggero della mongolfiera, che ha visto il muone percorrere 2n volte il cateto verticale lungo h·v/c·(1-v²/c²)⁻¹, dunque una distanza 2n·h·v/c·(1-v²/c²)⁻¹ che deve essere pari a 15 km (il fattore 2 c'è perché ci sono due riflessioni, due ipotenusa e due cateti verticali tra ogni due "tic" consecutivi). 15 km/150 m fa 100, e altrettanto deve fare il fattore 2n·v/c·(1-v²/c²)⁻¹; sapendo che 2n = 4 (riflessioni) e ricavando v/c da v/c·(1-v²/c²)⁻¹ = 100/4 = 25 si ha v/c = √(625/626) = 99,92% come presupposto da Carlo Cosmelli.
Inoltre uno dei due sistemi in moto relativo "vede" una contrazione delle lunghezze che prima semplicemente non avevamo considerato: quella osservata  nella direzione longitudinale del moto da ciascun osservatore in moto relativo (la ragazza sul carrello e lo spettatore del video). Cosa che gli autori del video non hanno considerato, per alleggerire il carico cognitivo e favorire l'immersione dello spettatore dei meandri relativistici.
Che faticaccia!

PS questo link (Lewis Carroll Epstein) mi spiega qualcosa sul "tempo proprio" costringendomi ad una parte supplementare 3: sembra dire che noi andiamo alla velocità della luce... nella coordinata tempo, dal passato verso il futuro (almeno quando non ci muoviamo rispetto alle nostre suppellettili). E ci dice anche che per il fenomeno "luce" il tempo proprio non passa.

Come interpretare questo "speedometer"? Se stiamo fermi rispetto alla nostra poltrona o rispetto a noi stessi (lo facciamo sempre :-)) ossia non ci muoviamo nei "dintorni" spaziali (x, y, z) del nostro sistema di riferimento (proprio), ma ci muoviamo alla velocità della luce nella coordinata del tempo (s), ossia lungo la quarta coordinata dello spazio di Minkowsky. Se invece ci muoviamo ad una certa velocità (c/2 nel grafico d'esempio) ci ritroviamo a percorrere in 0,866 secondi del nostro tempo proprio quello che un osservatore rimasto immobile nel nostro sistema originale, e che ci vede passare, valuta come un secondo. Dal suo punto di vista noi percorriamo impieghiamo un secondo a percorrere 0,5 secondi luce. Con poco più di due secondi ci vede arrivare sulla Luna. Quindi il senso della coordinata T (di lunghezza fissa pari a 1 s nel grafico) è quella di indicare il tempo tra due eventi che si verificano nel nostro sistema dal punto di vista di un osservatore in moto relativo rispetto a noi. Dal nostro punto di vista, infatti, il nostro tempo proprio continua a scorrere esattamente come quando ci trovavamo "fermi" nell'origine (le virgolette sono per ricordarci che in realtà ci muovevamo nella coordinata S, alla velocità di tutte le cose che non si muovono nello spazio proprio (lampada, scrivania, computer, libreria ecc.), velocità irriducibile: non aumentabile, né diminuibile. Possiamo considerarla la "velocità della causalità spaziotemporale"). Se avremo fatto partire il cronometro appena lasciata l'origine "0", quando arriveremo alla pietra miliare "x = +0,5 secondiluce" leggeremo sul nostro orologio un tempo di 0,866 s. Noi potremo ben considerarci fermi e vedere la pietra miliare "x = +0,5" venirci incontro alla velocità di 0,5 sluce/0,866 s = 0,577 mentre alle nostre spalle vedremmo allontanarsi da noi la pietra miliare "x = 0 secondiluce alla stessa velocità di - 0,577). Questo per ribadire che la velocità 0,5 c non è la velocità spaziale dal nostro punto di vista, ma la velocità relativa con cui noi siamo visti correre da un altro osservatore. Se ci muoveremo alla velocità limite c = 1 (per esempio a 0,999), sempre dal punto di vista del sistema di riferimento di "0", il tempo proprio del sistema che ci portiamo dietro ci darà una misura del tempo di arrivo alla pietra miliare pari a poco più di 0 s (ricordiamo che il tempo proprio lo leggiamo sull'asse S). Oppure, se non abbiamo stabilito noi di metterci in movimento, ma qualcuno ci ha messo dei razzi ultrapotenti sotto la poltrona che ci hanno mandato nella direzione +x a velocità quasi c (saltando magicamente la fase di accelerazione iniziale, in cui deve fare una quantità di lavoro quasiinfinita, visto che noi e la nostra potrona dal suo punto di vista pesiamo), ciò che vedremo (tanto paga lui) sarà che tutte le cose che erano (e sono) solidali col suo sistema inerziale ci verranno incontro simultaneamente e si allontaneranno alle nostra spalle simultanamente. Sembra assurdo, ma se ci mettiamo dal punto di vista della luce tutti i moti relativi devono avvenire, rispetto all'orologio interno alla luce stessa, a velocità infinita. La luce non corre per niente nella coordinata S, mentre si spende al 100% nelle coordinate spaziali, al contrario di noi, dotati di massa, che corriamo praticamente solo in quella, concedendoci al massimo qualche viaggetto verso la Luna o Marte a velocità di una noia mortale, rispetto a quella che possiamo vivere standocene comodamente seduti in poltrona! Ovviamente l'amico che ci ha sparato con i razzi potrà vederci viaggiare quasi alla velocità limite 0,999 c. Ma non di più! E per ottenere questo risultato ci avrà reso praticamente immortali... come la luce...

Ma... c'è un rovescio della medaglia.
La luce si trova simultaneamente dappertutto rispetto a qualunque sistema inerziale, compresi quelli che vanno alla velocità della luce! ma il suo orologio interno cosa fa? Cammina o no? Boh! Che significa avere massa a riposo pari a zero? La luce non sarà mai ferma rispetto a nessun sistema inerziale, non potremo mai accertare la massa di un "fotone fermo". La luce è condannata a muoversi solo nello spazio, ma non nel tempo proprio, mentre noi abbiamo la fortuna di sperimentare entrambe le cose. Se andassimo al 99,9% di c, per provare l'emozione di viaggiare anche nel tempo proprio S dovremmo trovare qualcuno disposto a spendere una quantità di lavoro quasi infinita per rallentarci rispetto al suo sistema di riferimento, ma ciò sarebbe ancora possibile grazie a quell'un per mille che ci separa da c e che ci rende ancora diversi dalla luce. La nostra massa impedisce che noi si possa mai essere come la luce. Che significa avere una massa a riposo diversa da zero, ossia cosa significa avere massa-energia nel nostro sistema? Forse, che stiamo mangiando troppo e facendo poco moto: sembra che non si dimagrisca molto muovendosi solo nella coordinata S. Dobbiamo andare anche a visitare le altre tre coordinate.

Eppure un paradosso mi sembra che rimanga: noi possiamo ben immaginare di stare viaggiando a 99,99999% di c. Lo facciamo rispetto ad un sistema inerziale che rispetto a noi si muove con quella velocità. Un neutrino che ci sta attraversando in questo momento o qualche altra simile entitàOppure rispetto a qualche galassia dall'altra parte dell'universo. Eppure non mi capita di vedere serie di eventi che mi attraversano simultaneamente, serie di pietre miliari tutte assieme. Ma forse sbaglio... forse questa stranezza la trovo guardando il cielo stellato: l'universo di tutte le ere che si presenta a me in un eterno adesso. Oppure la provo chiudendo gli occhi e sognando migliaia di eventi-flash sovrapposti, quando perdendo la coscienza il tempo sembra diventare immobile.

E anche un paio di domande rimangono.
1. Muoversi rispetto al mio intorno, fare jogging, dovrà pur significare qualcosa! Altrimenti qual è il senso del diagramma di Lewis Carroll Epstein? In altre parole, se sono io ad andare in bici sperimentando il moto nelle coordinate x e y (e in parte z), allora dovrà avere o no un senso fisico la pur minima riduzione della mia velocità nella direzione S? E allora, se ce l'ha, perchè il semplice cambiamento di punto di vista, consistente nel considerarmi in quiete sulla sella, di pretendere che sia il moto rettilineo e uniforme della strada (con le sue pietre miliari) a far girare le ruote (dando ad esse abbastanza momento d'inerzia per mantenermi facilmente in equilibrio), e che io sia fermo nel nuovo sistema di riferimento scelto (quello solidale con la bici e con ogni cosa nell'Universo che ora è solidale con la bici), mi porta a muovermi di nuovo a velocità c lungo la coordinata S? Se l'esistenza di qualcosa dipende unicamente dalla mia scelta di considerarmi fermo o in moto, allora che razza di moto "relativo" è? La mia velocità nella coordinata S non sembra avere senso fisico. Almeno non così come ce l'ha il mio sudore.

2. La coordinata S "tempo proprio" ha un dannato difetto: si va alla velocità c sempre nella stessa direzione, dal passato al futuro. Mentre la coordinata x posso attraversarla (nel tempo) nelle direzioni +x e -x. Non posso farlo rimanendo un sistema inerziale, certo; perché se io fossi inerziale dovrei continuare a viaggiare in eterno nella direzione +x (oppure -x). Per scorrazzare libero nello spazio propriamente detto 3D di tanto in tanto devo scendere da un sistema di riferimento e saltare su un altro, diventando momentaneamente non-inerziale. Perché non posso fare una cosa del genere per saltare da +S a -S? Che strana cosa che deve essere l'inerzia se esiste solo in una relazione asimmetrica tra S e coordinate spaziali. L'inerzia è un fardello che riguarda tutto ciò che può modificare lo stato di moto inerziale rispetto alle proprie suppellettili, compresa la luce che si riflette o interagisce e rincula con altre particelle o diffonde su se stessa. L'inerzia ce l'ha la lancetta dello speedometro, nello spostarsi solo da verticale a + 90 ° (o a -90°) e non va oltre...

Forse però può esistere qualcosa di fisico con la lancetta T dello speedometro orientata a più di 90 ° (o meno di -90 °). Qualche entità che dal nostro punto di vista vada a velocità +c/2, ma il cui tempo proprio sia opposto al nostro (direzione di S' verticale che punta verso il basso). Qualche particella o sistema di questo tipo dovrebbe evolvere nel tempo proprio S', percepibile o sperimentabile solo nel proprio sistema di riferimento, esattamente come nel nostro: dal passato P' verso il futuro F'. Ma gli eventi a cui tale entità darebbe luogo, come sarebbero percepiti dal nostro sistema di riferimento che, per quanto noi si possa andar (relativamente) veloci, ha una S che punta in alto? Tale entità potrebbe solo attraversare le pietre miliari dell'asse x nella direzione +x o in quella -x, ossia apparire come avere velocità positiva o negativa con un tempo proprio S positivo o, se vista in moto relativo (così come vediamo un muone), con un tempo T comunque positivo. Non potremmo interpretare diversamente quell'entità e la storia di eventi a cui potrebbe dar luogo, se questa storia consistesse solo nel passaggio in uno spazio 3D comune ad entrambi. Ma se questa storia consistesse in qualche fenomeno evolutivo più complesso, come il cambiamento di identità, o qualche fenomeno inerziale quale l'attraversamento di una lastra di piombo con variazione del raggio di curvatura nella traiettoria da un lato e dall'altro? potrebbe succedere qualcosa che dal nostro sistema di riferimento corrisponda ad una causalità o "freccia del tempo" invertita? Che richieda un'evoluzione che noi osserviamo come dal futuro al passato (con un "dopo" più in basso e il "prima" più in alto,  nelle direzioni T) ma che, dal suo punto di vista siano perfettamente normali (dato che il futuro di S' e di T' si trovano effettivamente più distanti dall'origine, proprio come per noi)? In tal caso noi vedremmo l'entropia del sistema "anomalo" diminuire sebbene la "vera" entropia, quella rilevabile nel sistema proprio dell'entità strana evolverebbe  normalmente? No. Credo che la risposta a queste domande sia un bel "no". La nostra freccia del tempo non ci permette di vedere qualcosa che evolve in modo causale nella dimensione S' di un altro sistema, anche se possiamo immaginare una sorta di specchio che riflette su 4 dimensioni e che ci permetta di farci un'idea di tutto ciò che accade dietro di esso come osservando immagini speculari di ciò che accade nel nostro mondo. In tal caso il positrone di Anderson si comporterebbe in modo esattamente identico nel mondo dietro lo specchio (antimateria?) rallentando dopo aver attraversato la lastra di piombo e non prima, e osserveremmo gli stessi eventi A (veloce) e B (lento) sia che esso si verifichi da un lato o dall'altro lato dello specchio (sebbene la carica elettrica coerente con i moti curvi potrebbe essere opposta). L'incomunicabilità tra i tempi +S e -S di sistemi che pur viaggiassero "in poltrona" andando in direzioni di tipo tempo opposte non ci permetterebbe, però di affermare di "vedere il fenomeno andare indietro nel tempo" o di dire che l'altro fenomeno avvenga in un tempo che scorre in direzione opposta al nostro. L'entropia aumenterebbe comunque sia che il sistema evolva nella linea tempo S' stando fermo in posizione x = 0 osservata da chi è proiettato nel futuro S, sia che l'evoluzione dell'entità fissa in x = 0 si verifichi in in un "diverso" asse del tempo S', che porta ugualmente dal passato al futuro, e sia osservata dallo stesso S', proiettato nel suo futuro +S' che solo formalmente corrisponde per noi ad un passato -S che però non possiamo percepire lungo linee temporale che siano diverse dalla nostra.